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IL MINISTRO DEL CAMBIAMENTO E I MEDIATORI

da | 1 Feb 2019 | NEWS

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Alcuni pensieri mi vengono in mente mentre leggo l’articolo di Riso Italiano sulle richieste di Confagricoltura al Ministro Centinaio. Il primo: che il Ministro Centinaio “gioca” sul suo tavolo perché le elezioni sono dietro la porta. Non è certamente il solo a farlo. Il secondo, che ci sono ancora idee diverse di filiera, non solo fra agricoltori e industriali, ma anche fra gli agricoltori (o meglio le loro associazioni) e fra gli industriali. Avviene in tutti i settori. È deleteria tuttavia – ma anche in questo caso non è un male solo della risicoltura o dell’agricoltura – la strategia dell’attacco che spesso premia l’individuo, ma sempre indebolisce il settore.

Diverse idee

Il terzo pensiero è che ci sono idee diverse in Italia e in Europa su quali comparti sostenere e quali sacrificare. Nonostante si parli molto, anzi incessantemente, di cibo, sicurezza alimentare, tutela del Made in Italy, tutela dell’ambiente, sostenibilità siamo ormai convinti che non saranno (o non sono?) proprio gli agricoltori e l’agricoltura ad essere sacrificati per primi e, subito dopo, l’industria agroalimentare che si basa sul vero Made in Italy.

Il piano Marshall

Affascinante la soluzione di un Piano Marshall, e lo dico assolutamente senza ironia, ma è difficile pensare ad un Piano Marshall in una società dove il cibo è importante, ma l’agricoltura no, dove gli hambuger e la carne si fanno in laboratorio e le coltivazioni si fanno in città (idroponica, serre verticali). Sembra giustificarsi il disimpegno della  comunità europea: si passa dall’agricoltura e gli agricoltori ai laboratori  e i ricercatori (va bene, ma uno non deve escludere o mettere in secondo piano l’altro). Se andrà male questa transizione e non ci sarà abbastanza cibo si potrà importare: ma gli agricoltori italiani non ci saranno più e probabilmente neanche l’industria alimentare. Sicuramente, in un simile scenario nessuno romperà le scatole con le clausole di salvaguardia. In questa evoluzione della situazione però ka micro/piccola/media industria che ha fatto conoscere e crescere il Made in Italy sparirà (o sta sparendo?): del resto, anche la moda italiana non è più italiana se non nei brand, l’olio italiano non è più italiano è così via …

Il cambiamento

Ideale sarebbe anche (riporto per intero e tra virgolette): «un’organizzazione di agricoltori capace di programmare le semine secondo la domanda di mercato e possibilmente concentrare l’offerta» e «L’obiettivo – mancato finora – è di organizzare la produzione in modo che i risicoltori, seminando troppo o troppo poco, non si ritrovino di anno in anno a far la coda al tavolo dell’industria con il cappello in mano».

Ma dove porta?

Siamo sicuri di sapere “gestire”  questi strumenti e questi obiettivi? Se mal implementati sarebbero o forse andrebbero addirittura oltre alle CUN. Porterebbero alla chiusura delle borse e delle granarie ormai “inutili”: una volta concordato cosa seminare, quanto seminare, a che prezzo, tutto sarà oggetto di contratti di coltivazione e/o grandi accordo quadro e a questo punto quale sarà il ruolo degli intermediari? Spariranno? Ci troveremmo in uno scenario simile a quello della risicoltura spagnola?

Ruolo dei mediatori

Fa quindi bene chi sta creando dei modi diversi di parlare con gli agricoltori e le industrie? Nascono associazioni sostenute da mediatori da generazioni (orgogliosi giustamente della propria storia) che forse stanno proprio contribuendo a cancellare l’attuale modo di fare mediazione? E questi mediatori stanno contribuendo, involontariamente ed inconsciamente, a far sparire gli attuali modelli di mercato più delle realtà che vogliono fermare con il loro attaccamento alla tradizione, con il contrasto all’innovazione? Non cambiare niente per cambiare tutto? Autore: Gian Luca Mascellino, CEO ChainForFood

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