L’industria risiera ha una terribile paura di riscontrare residui di triciclazolo nel risone raccolto nel 2017. Se non sarà osservato il divieto europeo di utilizzo della sostanza attiva impiegata in passato contro il brusone, se cioè anche pochissime partite di risone 2017 dovessero risultare contaminate dalla sostanza che non si può più usare, si rischierebbe uno scandalo alimentare di proporzioni tali da mettere a repentaglio il reddito di tutta la filiera. Inutile girarci intorno: le lettere che circolano nell’ambiente in questi giorni sono “terroristiche” perché si teme che non tutti i risicoltori siano informati, che non tutti i risicoltori siano preparati e che qualcuno comunque faccia il furbo. Per contro, se il prezzo del risone 2016 non fosse crollato com’è crollato – i signori industriali dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza e l’altra sul portafoglio – la tentazione di eludere il divieto non sarebbe così diffusa. Ma le sofferenze finanziarie non autorizzano a delinquere e così industria, mediatori e sindacati fanno quadrato in queste ore e si moltiplicano gli appelli. E non solo: tra gli industriali oggi è circolata una lettera a firma del direttore dell’Airi che ribadisce il nuovo limite massimo di residuo del triciclazolo nel prossimo raccolto (0,01 mg/kg). «Eventuali residui oltre il limite riscontrati nel prodotto, oltre ai possibili danni commerciali e reputazionali, costituiranno un illecito ai sensi della L 283/1962, disciplina igienica delle sostanze alimentari, che all’articolo 5, comma h) vieta esplicitamente la presenza di “residui di prodotti, usati per la protezione delle piante, tossici per l’uomo” o comunque non autorizzati, prevedendo la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno e dell’ammenda da 2.582 a 46.481 euro» (SCARICA LA CIRCOLARE AIRI). Insomma scudi levati e non solo da parte dell’industria, visto che il Ministero delle politiche agricole sta facendo girare il provvedimento in ogni sede (SCARICA IL DOCUMENTO DEL MINISTERO), incontrando il favore del sindacato agricolo, che non intende avallare eventuali furbizie che si ritorcerebbero contro la filiera. Una scelta difficile, intendiamoci, visto che i risicoltori sono imbufaliti sia per la crisi che per il divieto di uso della sostanza attiva. Per questo, le confederazioni, se da un lato approvano il richiamo alla legalità sull’uso dei fungicidi (le alternative per difendersi dal brusone ci sono e sono l’azoxystrobin-difenoconazolo e lo zolfo), dall’altro contestano agli industriali l’interpretazione estensiva del regolamento europeo, secondo la quale il LMR non vale solo per il riso lavorato ma anche per il risone. Carrière infatti scrive che «anche il risone (riso greggio), come speci cato dai contratti tipo vigenti presso le Camere di Commercio di Vercelli, Pavia e Novara, è da considerarsi come tale alimento, anche se non ancora direttamente commestibile, e assoggettato sia al Regolamento (CE) n. 178/2002, principi della legislazione alimentare, per cui è necessaria una sua identi cazione attraverso la numerazione in lotti per consentirne una rintracciabilità, sia appunto alla L283/1962, disciplina igienico sanitaria delle sostanze alimentari. Per quanto precede, i limiti di residuo stabiliti dal Reg. (CE) 396/2005, tra cui il nuovo limite di 0,01 mg/kg stabilito dal Reg. (UE) 2017/983, si applica tanto al risone tal quale, quanto al riso semigreggio, al riso lavorato e a tutti i derivati». Una precisazione su cui probabilmente si discuterà ancora per un po’, pur essendo tutti d’accordo che quest’anno il triciclazolo non deve essere usato.