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NON È MARCITA SENZA STALLA

da | 20 Feb 2021 | Non solo riso

Vediamo ora cosa è emerso dal dibattito degli agricoltori al webinar “CLOVER – Le marcite tra passato e futuro, aspetti ambientali e produttivi”, tenutosi lo scorso 11 febbraio 2021, nel contesto del progetto “CLOVER”, che si pone l’obiettivo di far conoscere e valorizzare la gestione sostenibile di aree agricole di particolare rilevanza ambientale, in collaborazione con l’Università di Pavia.

Andrea Falappi, del Consorzio DAM Az. Agricola Cascina Campazzo (MI), combatte contro l’avanzata del cemento in città, essendo uno dei pochi agricoltori che rimangono attivi proprio nel Comune di Milano: «La nostra azienda – ha detto – si trova a circa 300 metri dalla fermata della metropolitana linea 2. Abbiamo una stalla di circa 120-130 capi e abbiamo ancora le marcite, sistema che però non è più in grado di produrre e di assicurare degli alimenti particolarmente interessanti per l’allevamento dei bovini: nella fattispecie, le farine proteiche di soia e di leguminose hanno sostituito ampiamente l’apporto proteico dell’erba della marcita e di conseguenza la marcita è progressivamente scomparsa. Una marcita deve avere per forza alle spalle una stalla, grande o piccola che sia, dove il prodotto possa essere consumato quotidianamente, diversamente trovo veramente molto difficoltoso un rilancio e un mantenimento della marcita. Inoltre l’irrigazione iemale diventa sempre più complicata, eccetto per coloro che hanno ancora la possibilità di avere delle risorgive: c’è un rapporto di 1 a 7 nei costi di irrigazione e questo è un ulteriore disincentivo».

Marco Sala, dell’Az. Agricola Cascina Selva, di Ozzero (MI), conduce due prati a marcita e usa l’erba per l’alimentazione del bestiame: «Siamo un’azienda biologica con produzione a latte fieno e il latte che produciamo è molto giallo e di qualità, benché poco. Gestire una marcita, a mio giudizio, è gratificante perché si riscopre un vecchio lavoro e la biodiversità che c’è nei prati e la tecnica particolare di gestione della marcita attraverso il badile. Bisogna dedicare molto tempo, ma gli sforzi sono ripagati dalla produzione di elevata qualità».

Marco Cuneo, dell’Az. Agricola Cuneo di Abbiategrasso (MI), racconta: «Ho sperimentato sulla mia pelle tutte le difficoltà legate al ritiro del latte da parte dei caseifici, dato che il formaggio prodotto con latte di marcita era troppo giallo per gli standard caseari. Questo ha fatto sì che piano piano le mie marcite siano scomparse. Però, grazie al contributo del Parco, ne ho salvato un appezzamento. Mi sono accorto in questi ultimi anni che la marcita, che per me prima era un peso, adesso rappresenta qualcosa di diverso e di particolare, che risveglia ricordi di quando io e mio papà andavamo a coprire i fossi e ci parlavamo, fra una badilata e l’altra. È un valore inestimabile, non ha un prezzo quantificabile».

Michela Castelli, dell’Az. Agricola Ottone Vittorio, di Gambolò (PV): «Conduciamo le marcite da lontano 1946, ci troviamo nel cuore del Parco del Ticino, in una zona fortunata perché ricca d’acqua di risorgive, per cui non abbiamo problemi di irrigazione né invernale né estiva. Abbiamo riscontrato anche noi problema del colore paglierino del latte, per cui abbiamo avuto l’intimazione di non conferirlo più. Abbiamo quindi ovviato a questa difficoltà convertendoci all’allevamento di vacche da carne non più da latte, ma, in parte, il problema si pone lo stesso perché in alcuni casi la marezzatura della carne dal punto di vista visivo non è considerato un valore aggiunto. Negli ultimi anni, però, si è cominciato a capire il valore di questo tipo di produzioni, quindi abbiamo acquistato 8 ettari di marcita e stiamo riportandoli a regime in modo tale da provare ad avere foraggio sufficiente per le nostre vacche». Autore: Milena Zarbà

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