“Considerata la diminuzione progressiva del budget disponibile per la Politica agricola comune, nonché le minori risorse a disposizione sul primo pilastro della PAC e il leggero aumento dei fondi sul secondo pilastro (PSR), sarà necessario consentire alla filiera risicola un maggior utilizzo dei Piani di Sviluppo Rurale, attraverso una concertata pianificazione interregionale che preveda numerose misure specifiche per il riso”. La relazione annuale dell’Ente Nazionale Risi spiega chiaramente quale sia la partita davvero importante per la filiera, a partire dal 1 gennaio. In realtà, sui Psr è già iniziato l’assalto alla diligenza denunciato anche su www.risoitaliano.eu da Giuseppe Sarasso. Il governo ha quattro piani sul tavolo – irriguo, sviluppo, assicurativo e biodiversità – su cui le confederazioni hanno fatto emergere contrapposizioni plateali, segno che si è ancora molto lontani dal traguardo. Solo la settimana scorsa, Confagricoltura Lombardia ha fatto sapere di essere “molto perplessa” in quanto, malgrado l’incremento dei fondi lombardi, la ripartizione proposta in Conferenza Stato-Regioni “non rispecchia affatto la rilevanza economica delle diverse realtà agricole regionali” secondo il presidente Boselli per il quale “la quota assegnata alla nostra Regione equivale a circa il 22 % della nostra PLV agricola annua, mentre per altre Regioni si arriva a percentuali ben più elevate, in alcuni casi superiori al 100 %”.Abbiamo chiesto a Giuseppe Sarasso (nella foto piccola) di commentare questa situazione alla luce del fatto che dal primo gennaio, volenti o nolenti, entreremo tutti quanti nel nuovo mondo Pac. “Come ho scritto – è la risposta dell’agronomo vercellese – l’assalto alla diligenza dei fondi PSR è in pieno svolgimento. A monte delle Regioni che intendono usarli per finanziare gli apparati di assistenza tecnica agricola, il ministero ha proposto 4 piani nazionali: gestione del rischio, sviluppo, irriguo, biodiversità. Per come sono nati, è legittimo pensar male: sul fronte della gestione dei rischi le compagnie assicurative potrebbero diventare le maggiori beneficiarie degli incentivi, se riusciranno ad imporre tassi per loro remunerativi. Sul piano irriguo, i Consorzi di Bonifica, molti dei quali debbono colmare preoccupanti buchi di bilancio, potrebbero tentare di usare quei fondi per ripianare, almeno parzialmente, i loro debiti: non è un male in sé ma lo sviluppo rurale è un’altra cosa. Sono poi sconosciuti gli obiettivi dei piani riguardanti sviluppo e biodiversità. Come al solito, etichette fumose e anche fuori posto. Nulla vieta di finanziare l’ambiente in tutte le sue espressioni, ma storicamente e scientificamente l’agricoltura è un’attività destinata a limitare la biodiversità, non a promuoverla. L’agricoltore seleziona le piante migliori e concorre a creare un ambiente favorevole ad una sola specie, la più produttiva e richiesta dal mercato, a scapito di tutte le altre che competono con quella coltivata. Per conseguire il massimo della biodiversità si dovrebbe abolire l’agricoltura… Anche a non voler ricordare infine che esiste un accordo europeo di compensare con i fondi dello sviluppo rurale la minore dotazione del primo pilastro, ossia il sacrificio fatto dai produttori in termini di pagamenti diretti, perché, invece di introdurre obiettivi estranei come la biodiversità non si approfondisce invece, proprio in funzione dello sviluppo rurale, la possibilità di finanziare la ricerca di nuove specie più produttive e sostenibili? Sarebbe un’opportunità anche per il riso”.