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GIRONI: I MIEI ANNI ALL’ENTE RISI (E NON SOLO)

da | 16 Dic 2017 | NEWS

Romano Gironi, dirigente responsabile del dipartimento ricerca del Centro Ricerche Ente Nazionale Risi di Castello d’Agogna a fine anno lascerà l’incarico per andare in pensione. Lo sostituirà Filip Haxhari, già ricercatore alla Sa.Pi.Se. Gironi (nelle foto, oggi e sessant’anni fa) ha scritto questo articolo con cui saluta i risicoltori italiani: «Sono arrivato all’Ente Nazionale Risi il primo settembre del 2002 e non ero più un giovincello. Non solo per l’età, poiché a quell’epoca avevo 47 anni, ma perché lavoravo da quaranta. Se non di più… Oggi sa di leggendario, si parla di “albero degli zoccoli”, quando si rievoca la vita sull’Appennino negli anni Cinquanta, ma è la realtà. Io vengo da Loiano, sulle montagne che guardano Bologna, classe 1955. Vivevo su un crinale, un podere di nome Simiano, ed in famiglia eravamo talmente poveri che non c’era nè acqua nè luce. Non ricordo quando ho iniziato a badare alle vacche, svegliandomi prestissimo e facendo colazione con polenta fritta: credo, appena uscito dalla culla, fatto sta che a 6 anni per fare la prima elementare percorrevo ad ogni alba tre chilometri senza strade nei boschi della mia montagna. Nessuna paura dei lupi, quello era tutto il mondo per me: il primo giorno di scuola  presi tante botte da mia madre perchè non volevo metter le scarpe. Non le volevo mettere semplicemente perché non le avevo mai messe. Arrivai alle medie e la situazione cambiò: i chilometri diventarono sette. La differenza era dunque quella che dovevo svegliarmi prima e che a 12 anni mio padre, impietosito per la fatica che facevo, mi compró un motorino. Non avevo l’età per guidarlo, sicchè lo lasciavo prima del paese, onde evitare i Carabinieri. Quando andava male, inforcavo la moto e loro mi rincorrevano a piedi! Poco prima che compissi i 14 anni, aprirono un corso per zootecnico e mia madre dedusse che potevo occupare utilmente il tempo lasciato libero dalla stalla. Non ero un eroe: si viveva tutti con grande fatica, nell’entroterra emiliano. 

Il mio mondo cambió nel 1971. Morì il bergamino di una società agricola di Bologna e, grazie ai buoni uffici del veterinario locale, mio padre fu assunto là: ci trasferimmo tutti a S.Lazzaro di Savena, dove si trovava la Sis. Mio fratello entró in Malaguti, storica azienda di motorini: improvvisamente erano sparite le montagne ed eravamo diventati ricchi, perché entravano in casa due stipendi regolari. Entrai nell’istituto professionale di stato per l’agricoltura e divenni agrotecnico nel 1975, mentre lavoravo alla Sis d’estate come operaio agricolo; speravo alla fine del diploma di essere assunto è così feci la selezione, ma mi dissero che ero di “brutta presenza”. Non fui escluso per le capacità, ma perché ero piccolotto e la cultura nel mondo del lavoro era ancora quella dell’orbace.  Incazzatissimo, per ripicca mi iscrissi all’università. Finanziandomi facendo di tutto, anche il camionista senza patente, laureandomi a 24 anni con 7 anni di contributi versati, 110 e lode e una tesi in entomologia. Dovetti fare il militare perdendo tempo prezioso : una borsa di studio nella Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, la grande mamma, mi avrebbe portato più tardi a lavorare per un’azienda foggiana. Mi sono occupato di mantenimento in purezza del frumento duro, finché un dirigente della Sis mi avvicinó e mi disse che era morto il costitutore di Volano e Lido e bisognava salvare i materiali. Come sempre, mi occupai di tutto, ma ottenni grandi risultati, iscrivendo Loto, Vela, Eurosis e poi il Flaminio che era la migliore varietà di frumento duro per il pane di Altamura.

Era destino che dovessi sudarmi tutto e arrivó il venerdì 17 maggio 1991: crac Federconsorzi. Catastrofe. Sis in liquidazione. Si fanno piani di mobilità. Io resto solo per sette anni, mantenendo in purezza di 150 varietà di specie diverse (foraggere, avena, orzo, frumento duro, frumento tenero, e infine riso). Finché arriva un nuovo direttore che mi ringrazia… nominandomi fattore! Assoluta incompatibilità di vedute: mi sono dimesso. Due settimane e, su proposta di Piero Garrione, entrai all’Ente Risi. Era il 2002. Vi era da ricostituire la banca del germoplasma e rilanciare la ricerca: ebbi la fortuna di incontrare un giovane collega, Maurizio Tabacchi, con il quale siamo riusciti a introdurre in Italia la tecnologia Clearfield, con il Libero, nel 2005. In quegli anni abbiamo lavorato alla ristrutturazione dell’attività sementiera: per tutelare le sue varietà l’Ente risi si è fatto carico di arrivare fino alla produzione del R2. Nel 2006 abbiamo creato un laboratorio di biologia molecolare, che oggi può effettuare le analisi del Dna su ogni riso. Sicuramente importanti sono state le iscrizioni di nuove varietà, Clearfiled e non: CL71 e CL26 che ancora oggi è la prima lungo B coltivata in Italia, CL28 che andrà a supporto della CL26 e un’altra a granello lungo A chiamata CL33 che andrebbe ad affiancarsi all’unica esistente, Luna CL. Inoltre nei prossimi giorni sarà registrata la CL388 che sarebbe la prima varietà CL a granello lungo A da risotto che entra nella griglia dell’Arborio. Insomma, devo ringraziare Iddio e le mie capacità per aver superato tante sfide e aver messo a segno qualche risultato. Ai giovani che proseguiranno il lavoro che ho fatto io e chi mi ha preceduto auguro di potersi dedicare con la stessa passione alla ricerca, che mi ha conquistato da ragazzino, quando facevo lo stagionale in Sis e “sbirciavo” quelle parcelle di riso cui avrei poi dedicato gran parte della mia vita». Autore: Romano Gironi, Ente Nazionale Risi

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