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ECCO COSA PENSA IL VERO BIO DELLE ROTAZIONI

da | 7 Dic 2019 | NEWS

sondaggio

Il tema della rotazione obbligatoria in risicoltura biologica ha scatenato un putiferio. Come abbiamo scritto, Confagricoltura ha insistito perché si considerasse il sovescio coltura principale (https://www.risoitaliano.eu/il-sovescio-sia-coltura-principale/), ma l’operazione non è andata a buon fine (nelle prossime ore vi forniremo i dettagli). Ora sentiamo come e perché la questione è strategica per il settore bio. Ce lo spiega Manuele Mussa, Azienda Agricola Una Garlanda: «La scelta, maturata nei primi anni 2000, di abbandonare gradatamente le pratiche agronomiche “convenzionali” a favore di una risicoltura veramente più sostenibile, ha reso evidente da subito nei fatti che la Monocoltura non poteva essere la strada percorribile nel nostro futuro. Paradossalmente è stato l’ambiente di coltivazione a suggerirci il modo di applicare migliori pratiche agronomiche e rotazioni colturali ottimali al raggiungimento di accettabili produzioni. La tecnica, messa a punto in azienda ed  adottata con buoni risultati sin ora, può oggi ricollegarci ai recenti decreti e successive modifiche del MIPAAF riguardo all’inserimento dei Sovesci tra le colture principali ammissibili di rotazioni. La traduzione a livello legislativo di quelle che dovrebbero essere le esigenze agronomiche organizzative, oltre che economiche delle aziende risicole,  va affrontata tenendo conto delle differenze ambientali già accennate e dei termini che traducono una determinata pratica agronomica. Per esempio, nel nostro caso parlare del sovescio che precede il riso, come coltura principale, non è corretto, perché il sovescio è la semina di essenze erbacee che non portano a compimento il ciclo ma vengono, senza essere interrate, “ sacrificate” in ambiente di  risaia allagata, permettendo così al riso di diventare cultura principale. Mentre l’erbaio, che segue la coltivazione del riso, verrà lasciato concludere il suo ciclo vegetativo arrivando a raccoglierne i semi, diventando per noi una coltura principale, che fa “ riposare” un anno i terreni e produce reddito. In questo modus di lavorare abbiamo compreso meglio l’importanza della ciclicità delle coltivazioni. Certamente l’utilizzo della codificata fascia temporale 1° Aprile-9 Giugno, aiuta a determinare la giacenza di una data coltivazione rispetto ad un’altra; questo “parametro” non può però, a nostro avviso, essere abbinato a vicoli colturali specifici e restrittivi, perché non è il solo uso di leguminose o la rotazione biennale ad apportare fertilità ai terreni di risaia. Se come stabilito dal vigente DM 6793/2018 e dalle prime interpretazioni del decreto, dovessimo, dopo la coltura del riso, far seguire due colture principali consecutive, avremmo non poche difficoltà, in quanto una rotazione di questo tipo con il clima ed i terreni di Baraggia penalizzerebbe troppo l’azienda dal punto di vista economico, così come con difficoltà si può pensare di coltivare il riso biologico per tre anni consecutivi senza un adeguato avvicendamento. Quindi ben venga la necessità, come stabilita dal decreto, che in cinque anni la coltivazione del riso si possa presentare per non più di tre anni, ma riterrei più opportuno che la cadenza degli avvicendamenti colturali siano lasciati a discrezione delle aziende agricole,  che ben conoscono quali sono le pratiche agronomiche per il mantenimento della fertilità dei suoli  che meglio si conciliano con le esigenze produttive».

Per una maggiore chiarezza interpretativa dei decreti che si sono susseguiti in questi ultimi anni e per la “spinosa” questione delle rotazioni, ecco cosa pensa l’agronomo dell’azienda Una Garlanda, Alberto Massa Saluzzo: «Come noto, il tema relativo alle rotazioni del riso biologico è tuttora controverso e di varia interpretazione, frutto di norme non del tutto chiare contenute inizialmente nel DM 18354/2009, poi modificato per la sola coltura del riso dal DM 3286/2016 ed oggi nel vigente DM 6793/2018. Nel caso del riso vi è la deroga che afferma “Il riso può succedere a sé stesso per un massimo di tre cicli seguiti almeno da due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminosa”; tale affermazione sembrerebbe escludere che il riso possa ritornare sul medesimo terreno, con, oppure senza, due/tre anni di ristoppio, solamente dopo due cicli di colture principali di specie differenti, uno dei quali destinato a leguminosa.

Nella realtà delle cose, analizzando le note interpretative giunte nelle mie mani, mi accorgo che non è così o, per lo meno, viene affermato che non è così, con grande sollievo dei risicoltori che applicano rotazione con altre colture annuali e con erbaio da sovescio. Per prima La Direzione Agricoltura del Piemonte, che con Nota Protocollo n. 37343 del 13 ottobre 2017 avente per oggetto “DM 3286/2016 – Disposizioni riguardanti le rotazioni agrarie nella coltivazione del riso” ha correttamente ritenuto di dare interpretazione al DM 3286/2016, ed ha ribadito che dopo tre cicli di coltivazione di riso sullo stesso appezzamento si può ritornare alla coltura solo dopo aver coltivato, per almeno due annate agrarie, delle specie differenti di cui una leguminosa, precisando che l’applicazione della suddetta deroga, se considerata nel quinquennio, prevede la coltivazione di riso per tre anni su cinque e la coltivazione di specie differenti (tra cui una leguminosa) per due anni su cinque.  Ulteriori confronti, avuti con enti certificatori legati ad ASSOCERTBIO, evidenziano che le valutazioni di conformità della coltura del riso sono da ritenersi non conformi con declassamento del prodotto, sempre in ogni caso, quando in un quinquennio il riso è coltivato più di tre volte. Il numero di successioni va valutato considerando come minimo i quattro anni precedenti a quello oggetto di controllo. Riporto anche un esempio pratico: se un determinato appezzamento nel quadriennio 2016-2019 è stato coltivato con riso per tre volte, nel 2020 non sarà possibile una nuova coltivazione di riso poiché non rispetterebbe la norma sulla rotazione, pena la soppressione del prodotto. Rimane anche in questo caso evidente come vi sia un’interpretazione che definirei una sorta di deroga della deroga: nel quinquennio il riso non può essere coltivato sul medesimo appezzamento più di tre volte e questo significa che può essere coltivato ad anni alterni, per esempio un anno si e un anno no. Personalmente dei dubbi interpretativi a me restano ma non posso che rimettermi favorevolmente alle conclusioni della Regione Piemonte e di ASSOCERTBIO. Speriamo che l’imminente ulteriore modifica al DM 6793/2018 porti definitiva chiarezza a tutti». Autore: Ezio Bosso

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