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BORDONI: ALL'ACCADEMIA DEL RISO PROGETTIAMO IL FUTURO

da | 19 Lug 2014 | NEWS

accademia«Il problema della scomparsa di migliaia di ettari di risaia ce lo siamo posto ma siamo convinti che esista uno zoccolo duro in Italia, al di sotto del quale non si andrà». E’ l’ottimismo della realtà quello che vive in questo momento Lorenzo Bordoni, amministratore delegato di Dow AgroSciences Italia e che esprime in quest’intervista esclusiva a Risoitaliano. L’analisi di Bordoni discende anche dall’esperienza dell’Accademia del Riso, un organismo creato da Dow ma gestito in forma indipendente da un board di risicoltori e presieduto dal professor Giuseppe Viazzo. Una sorta di think tank dove si formano e si testano le analisi di mercato.

Bordoni, un’accademia è utile a vendere prodotti agrochimici?

No, ma è utile per conoscere e approfondire le esigenze dei risicoltori, che rappresentano il nostro mercato. L’accademia del riso, che abbiamo fondato nel 2009, è il salotto buono della risicoltura italiana, un agorà in cui gli agricoltori si incontrano con scienziati ed economisti e indagano insieme a loro il futuro della filiera, in un certo senso lo progettano perché in un organismo come questo emergono idee e si saggiano soluzioni.

Qual è il valore economico di questo confronto?

Per una multinazionale, raccogliere esperienze e metterle a confronto con il lavoro della propria divisione R&D ha una certa importanza. Significa capire il mercato. Ciò è particolarmente importante in un settore ad alto tasso di innovazione e specializzazione come questo, dove gli operatori sono mediamente giovani e motivati, capaci di relazionarsi, anche se permane un alto tasso di individualismo, tipico del settore agricolo italiano.

E’ su quello che lavorate?

E’ su quello che si deve lavorare.

Quanti risicoltori partecipano ai lavori dell’Accademia?

Ci si riunisce una o due volte l’anno, perché gli eventi sono densi e impegnativi. In media, gli inviti coinvolgono novanta imprenditori.

Quale rapporto c’è tra l’accademia e il marketing Dow?

Non c’è un rapporto diretto perché quello non è un momento di vendita. Semmai c’è un rapporto più profondo tra l’accademia e i nostri tecnici, cioè coloro che sviluppano i prodotti  Dow nell’areale italiano e che hanno bisogno di confrontarsi con chi li utilizza per produrre riso.

Su cosa sta lavorando ora l’Accademia?

Ci stiamo ponendo il problema dell’orientamento varietale, perché il mercato è ballerino e i risicoltori soffrono. Ma non sappiamo se dedicheremo a questo argomento l’appuntamento dell’autunno.

Non temete che queste “sofferenze” aumentino al punto di far sparire la risicoltura dal nostro Paese?

Il problema della scomparsa di migliaia di ettari di risaia ce lo siamo posto, in quanto Dow ha un importante portafoglio di prodotti per il riso, ma siamo convinti che esista uno zoccolo duro in Italia, al di sotto del quale non si andrà anche se queste sofferenze dovessero acuirsi.

Cosa consigliate alla filiera in questo frangente?

Quello che consigliano in molti: nel momento in cui l’ettarato si restringe alle aree vocate bisogna fare sistema in quelle aree, associando alla concentrazione della produzione quella dell’offerta. (14.07.2014)

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