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I NODI DELLA LEGGE SUL MERCATO INTERNO

da | 18 Lug 2014 | NEWS

Risotto04Il 22 luglio il tavolo di filiera si riunirà al Ministero delle politiche agricole per discutere di legge sul mercato interno. Sarà il D-Day? Un mese fa si sarebbe detto di sì, ma adesso la discussione è tornata ad aprirsi. Su diversi punti. Cerchiamo di capire quali e perché. La griglia delle varietà “classiche”: la bozza approvata il 14 maggio dalle confederazioni agricole e dall’Airi prevede che, salvo che per i prodotti tutelati da un sistema di qualità riconosciuto in ambito europeo, sulle confezioni di riso diffuse in Italia possa apparire una denominazione generica (ad es. Riso tondo) eventualmente accompagnata dal nome della varietà inscatolata, solo se tale varietà non rientra tra quelle tradizionali – che sono Arborio, Roma o Baldo, Carnaroli, S.Andrea, Vialone Nano – o tra quelle collegate a tali varietà in base alle rispettive caratteristiche ed inserite in un registro, gestito dall’Ente Nazionale Risi. Soltanto le varietà capostipite potranno fregiarsi dell’aggettivo “Classico”: si potrà vendere un Carnaroli classico ma non un Karnak Classico, anche se il Karnak sarà collegato al Carnaroli, né un Karnak come Carnaroli classico. La conseguenza di questo impianto è che tutti i risi non inseriti in questa griglia saranno venduti in forma “anonima” come tondi, medi, o lunghi e potranno quindi essere miscelati. Un’altra conseguenza è che ai primi sarà riconosciuta una qualità – e un prezzo – particolare, diversamente dai secondi. La declinazione della normativa è la ragion stessa del provvedimento: i sei risi tradizionali manterranno il loro posizionamento privilegiato sul mercato italiano, mentre tutti gli altri saranno venduti in Italia nello stesso identico modo – denominazione, miscele, difetti, ecc. – con cui sono commercializzati fuori dai confini nazionali.

E’ opinione diffusa che questa normativa comporterà un risparmio per l’industria, ma non per tutta: le piccole riserie, che campano sulla specializzazione, sono preoccupate per l’assottigliamento della griglia e hanno chiesto, insieme ad una parte dei risicoltori, che questa comprenda anche il Ribe e il Thaibonnet, eventualmente – ipotizza qualcuno – permettendo che queste varietà rientrino simultaneamente tra quelle in griglia e quelle ammesse alla denominazione generica. Chi è contrario si chiede che senso abbia tutelare il Thaibonnet, ovvero il lungo B, che è la famiglia varietale in cui la produzione nazionale è in ritirata, in seguito alle note importazioni cambogiane.

E’ qui che il concepimento della griglia si innesta sulla proposta Coldiretti della tracciabilità. Il progetto, diversamente dagli altri, non è stato presentato ufficialmente dal proponente, per cui se ne conoscono solo i tratti generali. L’idea di tutelare il riso italiano tradizionale con un sistema che ne certifichi l’origine nazionale dovrebbe blindarlo secondo alcuni, ma sarebbe irrealizzabile secondo altri: poiché ogni nuova legge deve avere l’ok dell’Europa, è probabile infatti che un sistema di etichettatura d’origine del riso faccia la stessa fine della analoga legge italiana bocciata nel 2011. Dire di no alla Coldiretti, insomma, non si può, ma neanche dirle di sì. Con un’aggravante: secondo taluni, senza una vera tracciabilità, per implementare la quale si dovrebbe incaricare l’Ente Risi di certificare tutto il riso “grigliato”, un Carnaroli coltivato in Romania osservando, almeno formalmente, la normativa italiana potrebbe essere venduto da noi come “Carnaroli classico”. Idem per un Carnaroli… cambogiano!

Per evitare questi scivoloni, all’Ente Risi si sta lavorando per applicare il modello Basmati. Il riso indiano è l’unico a essere veramente tutelato a livello internazionale in base alle sue caratteristiche peculiari. Per fare la stessa cosa con l’Arborio, però, mancano alcuni presupposti politici: l’India colse l’occasione dei negoziati Wto per ottenere il riconoscimento della natura di brevetto intellettuale della famosa varietà aromatica e accettò di condividere il vantaggio con l’odiato Pakistan pur di ottenere l’ok internazionale. Abbiamo lo stesso peso in Europa?

Infine le miscele: l’industria non vuole rinunciarci. I risicoltori le vedono come il fumo negli occhi. Le posizioni su questo punto paiono insanabilmente divergenti, anche se spazi di negoziato ci sono sempre, soprattutto tra imprenditori intelligenti. L’industria ha un’esigenza chiave che è quella di produrre packaging uniformi e omologare la produzione dei risi non pregiati, mescolandoli e aumentando le tolleranze: oggi in Italia si può vendere riso con il 5% di rotture, in Europa con il 20-30%, l’Airi ha chiesto il 14% e si è sfiorata la rissa… I risicoltori, dal canto loro, devono difendere le varietà con appeal territoriale e storico-gastronomico e vorrebbero un riso di qualità altissima, per spuntare prezzi adeguati. Il 22 luglio al Mipaaf si tenterà una sintesi. (18.07.14)

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