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SOLO PIRETROIDI CONTRO LA CIMICE

da | 23 Lug 2017 | Tecnica

Dopo ormai 5 anni dal suo primo ritrovamento, l’Halyomorpha halys, la cimice marmorizzata asiatica, non sembra voler fermare la sua avanzata, forte della sua polifagia (in Europa sono presenti circa 300 piante potenzialmente ospiti) e di un clima che permette di completare più generazioni durante l’anno. Abituata anche all’ambiente urbano, sverna come adulto in “colonie” nei più disparati ripari, di qualunque natura essi siano.Primo punto fondamentale è saper riconoscere l’insetto, anche per non confonderlo con l’autoctona Rhaphigaster nebulosa.

I principali caratteri che contraddistinguono l’H. halys sono la forma del capo, rettangolare, una colorazione grigio-marmorizzata che viene a mancare alla fine del dorso e l’assenza della guaina che protegge il rostro sul ventre.I danni di questa cimice sono provocati da tutti gli stadi vitali dell’insetto (dalle giovani neanidi fino all’adulto), le punture su colture erbacee possono anche rallentare il flusso di linfa, fino al punto di collasso della pianta o, più facilmente, della sola parte apicale (molto simile a quello che accade nei giovani germogli nei frutteti), sui frutti in maturazione (principalmente Pomaceae, come mele e pere, e Drupaceae, come pesche ed albicocche), di cui è particolarmente ghiotta, il rostro arriva così in profondità da far perder efficacia ai comuni insetticidi di superficie mentre sui panicoli giovani di riso il danno principale è dovuto allo svuotamento meccanico dell’endosperma, con cariossidi che degenerano, spesso marcendo in campo.

A tutti i danni diretti, causati dalle punture, bisogna aggiungere i classici danni indiretti dei Rincoti, di cui fan parte le cimici, gli afidi, i flatidi e i cicadellidi, tutti insetti famosi per esser possibili vettori di virus e fitoplasmi, patogeni estremamente pericolosi, soprattutto per orticoltori e frutticoltori.Le sue doti, sia in fatto di dieta che di prolificità, le permettono di trovare, per tutto il suo ciclo annuo, piante coltivate e spontanee su cui nutrirsi e riprodursi: tra le sue “vecchie conoscenze” troviamo la soia, la canapa ed il riso (tutte originarie dell’Asia e facilmente attaccabili dai Rincoti), inoltre, sempre in pieno campo, la si può trovare anche su mais e sui principali cereali autunno- vernini, dal frumento al triticale. Come già detto, i danni più rilevanti sono su pere, mele e drupe, danni talmente alti da costringere gli arboricoltori ad usare i teli anti-grandine come “zanzariere”.

Ultime ma sempre più importanti, a causa dell’espansione verso sud della cimice, sono le ortive del Centro Italia, soprattutto fave e simili.In pieno campo, essendo impossibile la lotta meccanica, la soluzione più efficace è l’uso di insetticidi a base di alcuni Piretroidi, una famiglia di principi attivi spesso usati dagli agricoltori. Dato che questi principi attivi agiscono prevalentemente per contatto coi parassiti, le dosi e i metodi di distribuzione dovranno essere scelti in base allo stadio fenologico della propria coltura.

Su soia, in via preventiva, alcuni trattano solo il perimetro delle colture, sfruttando l’azione repellente dei Piretroidi, mentre, se la popolazione è già stabile nel campo, una recente deroga europea permette l’utilizzo anche di un Neonicotinoide.La continua espansione dell’insetto, anche oltre le aree prettamente vocate alla frutticoltura, crea i presupposti di una futura entrata di questo insetto tra i principali insetti parassiti del riso, del mais e della soia negli ambienti risicoli italiani e di una corretta e informata preparazione da parte degli agricoltori, in modo da riuscire a creare una “rete” comune di difesa, che impedisca a questa cimice di diventare il un nuovo problema agricolo e urbano italiano. Soluzioni su larga scala sono in discussione sia a livello europeo che a livello nazionale: da Bruxelles difficilmente arriverà l’autorizzazione per importare una vespa parassitoide cinese, predatrice naturale della cimice, mentre, vicino Reggio Emilia, una task-force di ricercatori e studenti, hanno rilevato che, oltre all’aumento del numero di vespe e uccelli nostrani, due famiglie di mosche parassitoidi potrebbero aiutarci: i Tachinidi (particolarmente attivi durante lo studio) e i Sirfidi, famose mosche dalla livrea di vespa, già conosciuti nel campo della lotta biologica. Spesso le cimici presentano un “dischetto” bianco sulla schiena, quello è l’uovo di una mosca parassitoide. L’unica vera problematica dell’uso di questi insetti è il loro “modus operandi”, in quanto non hanno un unico target (in questo caso H. halys) ma colpiscono indistintamente anche le specie autoctone di cimici, come Nezara viridula, che in questi anni ha visto un calo della propria popolazione, dovuto ai tanti squilibri portati nei nostri ecosistemi dall’ Halyomorpha hays. Autore: Fabio Buccioli

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