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PER LORO NESSUN LOCKDOWN

da | 28 Apr 2020 | NEWS

Paesi e città sono sotto chiave e nei campi i cinghiali circolano indisturbati. Incuriositi dalla scarsa presenza umana e dall’assenza di traffico, raggiungono perfino i centri urbani, compresi i capoluoghi. I campi, così, diventano facile preda di oltre 2 milioni di cinghiali che arrecano gravi danni a semine, foraggi, frutta, ortaggi, vigneti e minacciando il bestiame. Situazione frutto di una crescita fuori controllo dei cinghiali per oltre il 400% in trent’anni: si stimano danni per oltre 200 milioni di euro ai raccolti con effetti anche sulla stabilità dei prezzi.  Nell’area del Cuneese, Confagricoltura riferisce di danni ai campi appena seminati, in particolare alle superfici a mais. Ma questo problema si estende ad ampio raggio anche ai vigneti, alle ortive, ai prati stabili, mettendo a rischio i raccolti e la fienagione, basi della filiera agricola ancor più preziose e necessarie in queste settimane di emergenza. Appena ultimato il ripristino dei danni dell’inverno si sono visti i primi animali circolare indisturbati anche alla luce del sole, mandando a monte, potenzialmente, il lavoro di settimane, più che mai necessario in tempi di crisi per soddisfare la domanda alimentare dei cittadini e per dare garanzie di sicurezza alimentare al Paese. 

Danni in aumento

I danni causati dai selvatici sono in sensibile aumento anche per la riduzione dell’attività di controllo e di contenimento a causa dell’emergenza COVID-19. La situazione è aggravata dal fatto che nel periodo dell’emergenza Coronavirus in alcuni casi sono stati sospesi i servizi di contenimento sul territorio nazionale, essendo chiusi gli ambiti territoriali di caccia ed essendo la polizia municipale impegnata nei controlli stradali per la quarantena. Le Province assicurano di non avere mai interrotto le attività di sorveglianza e ribadiscono che la Polizia Locale faunistico ambientale effettua interventi notturni settimanali compatibilmente con i vari servizi in capo alla Polizia Provinciale le rimodulazioni organizzative a causa dell’emergenza. L’allarme delle Regioni, allertate dal proliferare dei selvatici, ha fatto andare su tutte le furie ENPA e gli ambientalisti che hanno fatte notare come questo sia il periodo di riproduzione di caprioli, cinghiali, volpi, piccioni, minilepre e storni, motivo in più per tutelarli e non per cacciarli. Tuttavia, quantificare i danni a livello economico non è facile e bisogna risalire indietro nel tempo per individuare dati che possono far capire l’entità del problema: l’ultimo dato attendibile riscontrato da Coldiretti risale al 2007 ed è basato su un dossier dell’Eurispes che stimava in Italia un danno superiore ai 70 milioni di Euro. In aumento è anche il numero delle specie selvatiche, passate dalle settanta del 1991 alle centoquindici del 2000, numero quasi raddoppiato.

Nutrie nel Ferrarese

Il danno non è, d’altro canto, solo di natura economica, bensì tocca gli ambiti della salute pubblica, della sicurezza, prima di tutto sanitaria, ma anche stradale e sul lavoro, senza contare le evidenti e negative ripercussioni sulla biodiversità dovute alla proliferazione incontrollata di alcune specie in assenza di predatori naturali, a scapito di altre specie animali e vegetali, ugualmente da tutelare, anche in aree di elevato pregio naturalistico. Nel Ferrarese sono ancora le nutrie a farla da padrone.  ANBI porta alla luce l’annoso problema costituito da questi grossi roditori, situazione che rischia di esacerbare il disequilibrio fra animali selvatici ed abitanti. Solo nel territorio della Pianura di Ferrara si può stimare la presenza di circa 500.000 nutrie, quasi il doppio dei cittadini dell’intera provincia. Questa specie è diventata, negli anni, un autentico pericolo per le produzioni agricole, l’incolumità pubblica, la tenuta arginale dei corsi d’acqua, ma anche per la circolazione stradale. Ancor più preoccupante è l’innalzamento del rischio idraulico, che incombe su tutta la comunità per il pericolo di crollo degli argini, causato dalla presenza delle tane, pregiudicando la sicurezza delle centinaia di chilometri di alvei mettendo in crisi il delicato equilibrio idraulico di questi territori.

Gamberi e ibis in risaia

Va sicuramente ricordata anche la proliferazione incontrollata del Gambero della Louisiana, il cosiddetto Gambero Killer che, grazie alle sue caratteristiche ecologiche, ha trovato nei nostri corsi d’acqua il proprio habitat ideale dopo essere stato importato dall’America (Stati Uniti centro-meridionali e Messico nord-orientale) a fini commerciali sfuggendo, poi, agli allevamenti. La sua introduzione e la tipica voracità gli hanno consentito di prendere il sopravvento quasi completamente sulla popolazione autoctona di gamberi di fiume, facendolo diventare l’anello preponderante di una catena ecologica e di un disequilibrio decennale. Scavando, poi, profonde tane, complesse e molto ramificate, crea problemi alla stabilità degli argini dei corsi d’acqua. Essendo, poi, in grado di sopravvivere per alcune ore fuori dall’acqua per spostarsi da un corso d’acqua all’altro, è in grado di raggiungere le coltivazioni cibandosi di germogli e diventando un pericolo soprattutto per le risaie. Si ha anche nota di casi di attacchi a pollai. Qualche risicoltore segnala anche una proliferazione fuori misura degli Ibis nel Vercellese. Questi uccelli interferiscono con la semina.

Politica da ripensare

L’emergenza posta in essere dalla proliferazione incontrollata dei selvatici e manifestata dagli operatori agricoli mette indubbiamente in luce le questioni della prevenzione e della limitazione dei danni: la soluzione che ne emerge implica l’impegno condiviso da tutte le realtà coinvolte, dalla caccia, all’agricoltura, alle associazioni che si occupano di tutela ambientale. Di cruciale importanza la denuncia dei danni e la segnalazione della presenza dei selvatici sul territorio: il danno da fauna selvatica, sebbene nella gran parte dei casi sia particolarmente oneroso per le aziende, spesso non viene denunciato all’amministrazione per la complessità degli adempimenti burocratici e la scarsità dei fondi dedicati ai risarcimenti. La consuetudine di non denunciare rende difficile disporre di dati attendibili sulla reale dimensione del fenomeno, che sarebbero d’altro canto utili anche a formare massa critica e a supportare i provvedimenti e le strategie da intraprendere a tutela, in primo luogo, del reddito delle imprese. Risulta infatti necessario riscrivere alcuni principi della pianificazione faunistico-venatoria del territorio, portando a galla con decisione il problema dei danni da fauna selvatica all’agricoltura ed alla gestione ambientale. Una sfida di importanza cruciale è, infine, la valorizzazione a livello di governance territoriale della multifunzionalità dell’impresa agricola che offre un contributo decisivo alla tutela ed al miglioramento degli habitat, contribuendo a contenere i problemi causati dalla fauna e consentendo la ricostruzione di habitat più equilibrati, senza contare che ciò potrebbe costituire una possibilità di reddito ulteriore e integrativo per imprese. Autore: Milena Zarbà

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