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«NON BRUCIATE QUELLE PAGLIE»

da | 4 Nov 2017 | NEWS

Mirko Busto, deputato M5S di Vercelli, chiamato in causa sulla vicenda dell’abbruciamento delle paglie, risponde con una lettera che pubblichiamo integralmente: «Egregio Direttore, anche se a Vercelli, la qualità dell’aria di ieri (mercoledì primo novembre) era in leggero miglioramento con valori di PM10 di 47 µg/m³, i giorni passati sono stati caratterizzati da valori record che hanno toccato i 146 µg/m³ lo scorso sabato. La terribile situazione della qualità dell’aria non è solo un disastro per i nostri martoriati polmoni, costretti a respirare un cocktail di sostanze pericolose, ma anche un grave problema sociale ed economico.  Secondo OMS e OCSE gli oltre 90 mila decessi prematuri annui causati della pessima qualità dell’aria ci costano moltissimo: 88,5 miliardi di euro ogni anno, quasi il 5% del PIL. A queste cifre folli rischiamo di dover aggiungere a breve le sanzioni dovute alle tre procedure di infrazione Europee dovute ai continui superamenti dei valori limite degli inquinanti in cui è coinvolto il nostro Paese, con una multa che potrebbe ammontare a oltre 1 Miliardo di Euro.

L’Italia non rispetta i limiti della qualità dell’aria da oltre 10 anni e presenta tassi di mortalità più alti delle altre principali economie Europee: oltre 1.500 decessi prematuri per milione di abitante, contro una media dell’Unione europea di poco più di mille decessi prematuri. Un problema che tocca in particolare i bambini molto piccoli, estremamente sensibili all’inquinamento atmosferico.  È ovvio che a questo problema contribuiscano tutta una serie di attività come il traffico, il riscaldamento domestico e il settore industriale, ma non possiamo fare finta di dimenticare che sulla qualità dell’aria incidano anche in maniera importante agricoltura e allevamento.

Non a caso qualche giorno fa la Regione ha finalmente deciso di fare un primo timido passo per contrastare l’emergenza, elaborando, con il DGR n. 42-5805, le ‘prime misure di attuazione dell’Accordo di Programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure di risanamento della qualità dell’aria nel Bacino Padano’. Tra le attività proibite non appena il livello di legge di 50 μg/m3 sia stato superato per 4 giorni consecutivi troviamo, oltre alle ovvie limitazioni della circolazione per le auto diesel e per il riscaldamento a biomassa, il divieto assoluto di qualsiasi tipologia di combustioni all’aperto (anche relativamente alle deroghe consentite) e il divieto di spandimento dei liquami zootecnici.

In relazione a questo, colgo l’occasione per spendere due parole sulla polemica tutta Vercellese dell’abbruciamento delle stoppie. Credo che stiamo parlando di un minimo di sano buon senso, non capisco il senso di continuare a bruciare le paglie quando la moderna letteratura agronomica testimonia che non ha effetti apprezzabili sulle infestanti, non ha effetti rilevanti sul contenimento delle malattie fungine, non ha effetti, in genere, di accumulo di tipo dannoso di sostanza organica. Si brucia solo utile materia organica che poi va reintegrata con concimi. A dirlo sono svariati i lavori e ricerche: invito a consultare quella svolta per più di un decennio consecutivo alla Cascina Sperimentale Boschine (prima che essa venisse miseramente alienata dalla Provincia di Vercelli per far cassa), ed altri innumerevoli lavori sono consultabili circa il beneficio della paglia trinciata ed incorporata direttamente nel suolo e del suo ruolo utile al mantenimento della fertilità. Nessuno vuole criminalizzare gli agricoltori, ma anzi, li si vuole sensibilizzare affinché a loro volta stimolino i loro colleghi più distratti e meno attenti a contribuire alla risoluzione di un problema che ci riguarda tutti.

Ridurre l’inquinamento atmosferico nelle nostre aree deve essere una priorità politica. È indecente assistere allo spettacolo di una politica che ‘tira a campare’ aspettando le piogge per paura di pestare i piedi a uno o all’altro settore (agricoltori, industriali dell’auto e dell’energia) oppure di scontentare i cittadini con i blocchi del traffico. In pianura padana si muore di smog, questa è la realtà. Dobbiamo avviarci rapidamente verso l’abbandono del diesel, stimolando al contempo lo sviluppo di tecnologie pulite e la diffusione di veicoli ibridi ed elettrici. Dobbiamo fare in modo che ciò si accompagni a politiche per abbandonare l’uso del mezzo privato in favore del potenziamento e dell’efficientamento della mobilità pubblica. Dobbiamo abbandonare i progetti e gli investimenti sulle grandi infrastrutture che devastano il territorio senza rispondere ai veri bisogni dei cittadini portati avanti dalla vecchia politica. Il M5S ha le idee chiare e, una volta al governo, avrà il coraggio di portarle avanti con determinazione. Mirko Busto deputato M5S»

Risponde Paolo Viana: Come sempre, l’on.Busto espone le sue idee in modo pacato e di questo lo ringraziamo. La decisione di pubblicare un articolo su “I risicoltori non sono piromani” era volto a denunciare una caccia alle streghe ed è stata una scelta lungimirante. Infatti, la caccia è più che mai aperta: i falò delle stoppie sono diventati la spiegazione di comodo dell’inquinamento atmosferico. Noi che operiamo in agricoltura siamo i primi, come lo sono le associazioni degli agricoltori, a sostenere che ogni attività debba rispettare la legge e il buon senso, ma qui la questione è altra. Stiamo parlando di un Paese che sistematicamente scarica sul più debole le proprie colpe. A Vercelli i pm10 sono frutto dei falò dei risicoltori: questa è la tesi che tace il ruolo del traffico automobilistico ed aereo, dell’industria, dei riscaldamenti… Una tesi balzana anche secondo gli studi che si citano. Una tesi che risponde a una sola legge: la pigrizia. E’ più comodo scagliarsi contro il più debole, l’agricoltore. E’ comodo e fa notizia: cavalcare l’onda degli scandali consumeristici paga. Paga il Fipronil. Paga il glifosate. Paga l’allarme fuochi. Paga, ma solo sul mercato della chiacchiera, perchè se il consumatore si documentasse davvero capirebbe che non è in gioco la sua salute, ma il suo portafoglio, e non perché si profili un osceno baratto tra la vita e i soldi. Semplicemente, perché dietro ogni “scandalo” c’è un potere forte che tira le fila e fa in modo che l’agricoltura più costosa esca dal mercato, allo scopo di disporre di materie prime a basso costo, che consentano a chi trasforma e distribuisce margini di profitto più alti. Con una conseguenza: il livellamento del mercato su una offerta di bassa qualità.

Da anni, l’agricoltura italiana è costretta a fare i salti mortali per produrre e si dice che l’obiettivo finale sia un’agricoltura sostenibile. Ebbene, sono balle! Si può coltivare in modo sostenibile ma non fintanto che le frontiere resteranno aperte. Difesa dell’ambiente e liberalizzazione non vanno a braccetto perché per un Paese che vota l’on.Busto che difende la purezza dell’aria padana ce n’è un altro che produce a bassissimo costo e incarcera chi denuncia i reati ambientali. Il produttore virtuoso sarà costretto ad essere sempre più virtuoso, se il produttore “meno avanzato” potrà produrre senza regole: alla fine, sopravviverà solo il secondo. Il primo morirà di virtù. La situazione che vive la nostra agricoltura è descritta dall’economista Dario Casati in questo passaggio, riportato dal bilancio dell’azienda risicola redatto dall’Associazione Laureati in Scienze Agrarie  di Vercelli: «Saggiamente lo studio ricorda che i redditi si formano attraverso il calcolo della differenza fra ricavi e costi ed ecco che la lettura dei bilanci tipo e il confronto con quelli della singola azienda servono per avere una “radiografia” puntuale delle condizioni di ogni singola azienda e dei punti critici su cui si può intervenire. Qui di nuovo ci si imbatte in un’altra categoria di ostacoli con cui la risicoltura si trova  a combattere. Come ogni altro settore produttivo essa incontra fattori su cui la singola impresa può agire modificandoli anche a caro prezzo e altri che sono indipendenti dalle scelte aziendali, ma gravano sui risultati. Ai primi appartengono ad esempio quei comportamenti che portano al più significativo processo di concentrazione delle superfici aziendali e di specializzazione produttiva che abbia avuto luogo nella nostra agricoltura o a quello di aggiornamento tecnologico, di razionalizzazione dei processi produttivi, di costante aggiustamento dei rapporti fra i fattori produttivi in funzione del contenimento dei costi. All’altro appartengono le decisioni di politica agraria europea, la debolezza dell’applicazione nazionale che avrebbe margini di adattamento che non sfrutta adeguatamente, come ad esempio fa la vicina Francia, più di noi sensibile alle esigenze della sua agricoltura. Ma appartengono anche le numerose e vessatorie normative nazionali e locali che gravano sul settore agricolo e nello specifico sul comparto del riso. Ci si vanta della qualità dei nostri prodotti, del contributo che danno alla formazione della ricchezza prodotta ed alle esportazioni e poi ci si perde nell’inventare a getto continuo limiti, vincoli e divieti all’esercizio del diritto della libertà di impresa. Intervenire con normative assurde e inapplicabili senza consentire alle nostre aziende di poter coltivare come è nell’interesse stesso degli agricoltori e, in fondo, della società è un assurdo tributo che si paga alle mode ed alla faciloneria con cui le diverse sedi politiche credono di acquisire un maggior consenso nell’opinione pubblica a danno di un settore produttivo che in assoluto è quello maggiormente vincolato nel nostro sistema economico ed il più debole ed esposto. Il tutto poi va visto nel quadro delle evoluzioni in atto nel quadro mondiale».

 

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