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MA COM’È CONVENZIONALE QUELL’ERBA BIO!

da | 17 Ott 2019 | NEWS

Pare che una felce acquatica, la “marsilea quadrifolia”, possa essere il miglior indicatore naturale di riso biologico. È l’ipotesi su cui sta lavorando il dipartimento di Scienze della terra e dell’ambiente dell’Università di Pavia. Un docente di quell’università, intervistato da La Provincia Pavese, nei mesi scorsi affermava: «Il riso biologico è un prodotto di interesse crescente ma, nonostante le certificazioni di legge, incontra ancora la diffidenza dei consumatori che, pur disposti anche a pagarlo di più rispetto alle produzioni convenzionali, non sono certi del mancato uso di diserbanti. Per mettere a punto un sistema sicuro e applicabile di verifica del “vero riso biologico” abbiamo pensato di utilizzare sperimentalmente come bioindicatore la “marsilea quadrifolia”, nota come quadrifoglio d’acqua, molto sensibile ai diserbanti. In pratica, se si usano diserbanti in risaia la pianta è molto limitata nella crescita o addirittura scompare». La sperimentazione è stata condotta in varie aziende. Qui sono stati utilizzati due campi, uno biologico e uno convenzionale, e in ogni appezzamento sono state trapiantate sei zolle di “marsilea quadrifonia”, precedentemente allevata all’Orto botanico di Pavia. Continuava il docente: «È stato studiato l’effetto di diverse tipologie di conduzione agricola per la produzione di riso sullo sviluppo e sulla possibilità di sopravvivenza, almeno in fase vegetativa, della rara felce acquatica “marsilea quadrifolia”. La specie è sensibile a diversi princìpi attivi contenuti nei più comuni diserbanti utilizzati in risicoltura. L’obiettivo era verificare sul campo se diverse tipologie di conduzione delle risaie possono influire sulla sopravvivenza della specie: in particolare, si è testato se la conduzione biologica può influire sulla sopravvivenza della specie in coltivazioni di riso. Sulla base dei risultati ottenuti,  a Milano proporremo di utilizzare questa pianta come bioindicatore di non utilizzo di diserbanti e quindi di “vero” riso bio».

Un’idea interessante che, tuttavia, va verificata. Ed è esattamente quello che sta facendo l’Università. Non senza problemi, riteniamo, in quanto la marsilea quadrifolia, pur essendo diminuita dagli anni ‘70 ad oggi, non è scomparsa dalle risaie coltivate con il metodo convenzionale. Essa anzi sta crescendo negli ultimi periodi, forse a causa delle limitazioni relative ad alcuni principi attivi sistemici ad ampio raggio, principali responsabili della diminuzione della popolazione di questa pianta. Nelle acque più pulite, derivate ad esempio da fontanili sotterranei, la sua presenza non è mai stata messa in discussione, il che potrebbe rendere complicato farne un marcatore della produzione biologica.

Nino Chió, risicoltore biologico e convenzionale del novarese, ci dona alcune prove a sostegno di quest’interpretazione: «Ho notato la presenza della pianta nei terreni a conduzione convenzionale con uno sviluppo rigoglioso, non mortificato. A mio parere l’agricoltura che pratichiamo oggi, nonostante l’utilizzo di prodotti di sintesi, è migliorata dal punto di vista ambientale diventando più pulita. I nuovi formulati sono a raggio assai ristretto e non coinvolgono più la maggioranza delle specie presenti in risaia, come i prodotti sistemici ad ampio raggio che abbiamo utilizzato dagli anni ‘70 al recente passato. Le limitazioni nei dosaggi e di alcune molecole potrebbero aver influito sullo sviluppo di questa pianta in particolare. Il campo in cui ho ritrovato la Marsilea Quadrifoglia  è stato coltivato convenzionalmente con tecnologia Clearfield, il ritrovamento è avvenuto nella zona di uscita dell’acqua dalla camera, quella dove dovrebbe esserci una maggior quantità di principi attivi.  L’agricoltura di precisione, le direttive PAN, le irroratrici performanti e tarate, la consapevolezza e professionalità degli agricoltori hanno creato la magia della sostenibilità. Per questi motivi ritengo  che non possa essere utilizzabile come marcatore univoco di un regime organico, altrimenti si avvallerebbe uno strumento imperfetto  nella certificazione del bio». (segue)

Il risicoltore Nino Chiò e la marsilea quadrifolia nelle sue risaie

Una testimonianza che fa riflettere anche sull’utilità oggettiva che potrebbe avere una conversione massiva all’agricoltura biologica. Se non altro perché convertire completamente la produzione agricola in produzione biologica, ottenendo la stessa quantità e qualità di prodotto per il consumatore (senza barare), significherebbe incrementare notevolmente la superficie di produzione. Ciò comporterebbe un’importante bonifica di terreni ad oggi “selvatici”, creando ulteriori fonti di inquinamento e perdita di biodiversità. Uno studio del 2016 svolto dall’USDA (Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America) ha calcolato approssimativamente che la bonifica, per quel che riguarda il territorio statunitense, coinvolgerebbe circa 42 milioni di ettari di terreno, tre volte la superficie agricola italiana, poiché qualsiasi produzione biologica, ad eccezione del pascolo, fornisce quantità assai inferiori di prodotto per unità di superficie, senza calcolare il minor tempo di conservazione del raccolto in assenza di opportuni trattamenti. Presentiamo infine la tabella che raccoglie i dati utilizzati per il calcolo, ricordando che 1 ettaro è uguale a 2,471 acri. Autore: Ezio Bosso

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