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L’INVERNO DEI PREZZI

da | 2 Dic 2016 | NEWS

moneta

soldiLa tensione sui mercati del risone è alle stelle. A torto o a ragione, gli agricoltori si sentono presi per il collo dall’industria che procede negli acquisti in modo lento e discontinuo. La sensazione è che i buyer aspettino il crollo delle varietà destinate al mercato interno e che molti risicoltori non siano più in grado di temporeggiare. Il vero Carnaroli potrebbe valere 50 euro al quintale (oggi viene scambiato a 46,8) ma non è scontato che si trovi un buyer disposto a pagarlo tanto. Si dirà: due settimane fa lo si vendeva a 55. Vero. Ma sono passate due settimane e, malgrado l’Ente Nazionale Risi non abbia ancora diffuso le stime sul raccolto (che solitamente venivano rese pubbliche all’inizio di novembre), il mercato è convinto che i magazzini degli agricoltori siano stracolmi di questa varietà (non dimentichiamo che si è partiti con delle buone scorte) e neanche la prospettiva di un veto sull’uso del triciclazolo, ormai dato per scontato, e quindi di un prossimo calo della produzione di risi da interno, riesce a rinvigorire le quotazioni. I broker sono convinti, anzi, che il calo del Carnaroli sia destinato a continuare ed ancor più quello dei similari, Karnak in testa: peccato, mugugnano i risicoltori, che qualcuno di loro dicesse di non vendere a 45 e adesso siamo già scesi a 40/42. Non diversamente per il Volano: vale 45 euro, ma non trova compratori, tant’è che alcune aziende potrebbero aver già ceduto a un offerta di 43 euro al quintale. Poco, troppo poco per i risi più importanti, quelli che in pubblico gli industriali incensano, spiegando ai consumatori che nelle confezioni di chicchi da risotto ci sono solo le più pure varietà italiane e che vale la pena pagare qualcosa di più per avere gusto e sicurezza alimentare. Immaginate la rabbia dei produttori a confrontare queste dichiarazioni con il prezzo del Sant’Andrea, piccola varietà ma talmente preziosa da essere finita nella griglia della nuova legge del mercato interno. Eppure oggi un quintale di quel risone vale solo 32 euro ivati, anche se i contratti di coltivazione stipulati all’inizio della campagna recavano ben altro prezzo: 40 euro. Resta difficile anche la situazione del Baldo, a conferma che si è esaurita la spinta dell’export: 35 euro. Una sola riseria lo paga 37, ma pretende rese stellari.

Veniamo ora ai tondi. quest’anno se ne sono seminati veramente tanti e quindi hanno subito un autentico crollo. Il Sole si aggira intorno ai 28 euro, tendente ai 27. Due settimane fa si pensava che si sarebbe stabilizzato a 30 euro, ma solo il Selenio tiene a 35 e poche altre varietà si aggiustano sulla trentina. Con queste quotazioni ci si potrebbe aspettare un braccio di ferro e invece l’agricoltore pare sempre più propenso a (s)vendere, segno che la campagna dei tondi è bell’e segnata. Per inciso, in un anno questi risi hanno perso quasi dieci euro.

Le varietà di lungo A da parboiled superano invece agevolmente i trenta euro, segno che gli agricoltori stanno resistendo alla disperazione e ciò avviene perché di questi risi vi è una minore disponibilità: tra tutti eccelle l’Augusto, con i suoi 40 euro al quintale, sempre Iva inclusa. Non è diverso l’andamento dell’indica: assorbita la bufera delle importazioni e archiviata la proposta di assegnare a queste varietà l’intero aiuto specifico, il mercato lo paga 32 euro al quintale sapendo che ne è stato coltivato poco e a nulla valgono i continui allarmi lanciati dall’Ente Risi sulle importazioni in aumento, perchè, a questi prezzi e fermo restando che la produzione di indica italiano è comunque limitata, all’industria, che lavora sulle medie, conviene pur sempre riconoscere qualche euro in più al prodotto nostrano e quindi anche se arriva molto indica asiatico a 27 euro, almeno per quest’anno quello italiano dovrebbe difendere egregiamente quota 30-e-rotti.

In definitiva, lo scenario da incubo è quello che riguarda il Sole e i risi da mercato interno: la pubblicazione delle stime Ente Risi potrebbe dare il colpo di grazia al mercato di questi risi oppure rilanciarlo, in base allo “spread” tra speranze e realtà. Tutto il mercato sa, infatti, che nel 2016 c’è stato un investimento importante in queste varietà, ma, soprattutto per quanto riguarda il mercato interno, non sono ancora note tre variabili: quanto sia stato il reale rendimento unitario, posto che in diverse aree produttive sono stati segnalati aborti; quanta sia la resa industriale del raccolto; se veramente, come si dice, l’Europa vieterà il triciclazolo, considerata l’arma più potente contro il brusone, inducendo l’industria a fare incetta di varietà da interno, che nei prossimi anni potrebbero conoscere, proprio a causa della Pyricularia, un ridimensionamento produttivo.

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