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COME PRODURRE BABY RICE SENZA VELENI

da | 29 Ago 2017 | NEWS

Storicamente l’Italia è il principale fornitore di riso per il mercato baby food, con un mercato che permette di ottenere una remunerazione maggiore per il prodotto venduto, di circa il 10/12% in più rispetto alla media di mercato. Negli ultimi 5 anni i clienti del settore riso baby food sono diventati sempre più esigenti, con maggiori richieste in termini di garanzia, con standard qualitativi sempre più performanti e con sempre maggiore attenzione riguardo al contenuto di micotossine, metalli pesanti (cadmio e arsenico) e residui di fitofarmaci.

L’introduzione del nuovo limite da parte dell’Unione Europea per il contenuto di arsenico inorganico in granella (pari a 0,10 mg/kg) è stato in molti casi reso ancor più rigoroso dalle multinazionali che operano nel settore baby food, che pongono limiti ulteriormente restrittivi rispetto a quelli già imposti dalla legge, ad esempio individuando il limite massimo di 0,10 mg/kg per quanto riguarda l’arsenico totale, e non la sola frazione inorganica, consentito per il riso baby food. Questo ha comportato un progressivo spostamento dell’attenzione degli acquirenti, soprattutto internazionali, verso fornitori spagnoli, in quanto nella regione spagnola attorno al Guadalquivir e nell’area risicola di Valencia le condizioni dell’azienda risicola permettono di rimanere facilmente al di sotto di tale limite.

Il progetto di ricerca “Riso Baby-Food: un mercato da riconquistare” si propone appunto l’individuazione e  definizione di un codice di buona pratica che permetta ai risicoltori interessati dal comparto del baby food di conoscere meglio le tecniche agricole e le scelte agronomiche da perseguire per ridurre il rischio di contaminazione da metalli e micotossine nel prodotto finale, con una maggiore valorizzazione a livello commerciale del riso prodotto per il mercato del baby food. Il progetto, che ha per capofila l’imprenditore agricolo Giovanni Daghetta, da un ventennio impegnato nello specifico settore, vede coinvolti come partners scientifici l’ Ente Nazionale Risi, l’Università d Torino e l’Università Cattolica di Piacenza, oltre alle aziende agricole Braggio di Zeme e Gamalerio di Galliavola.

Il “field tour” del 29 agosto ha permesso a una platea composta da un centinaio di agricoltori, tecnici e professionisti del settore di prendere visione dello stato di avanzamento del progetto e di ottenere le prime valutazioni sulle possibili tecniche da adottare.

Nel corso della giornata Marco Romani, del Centro Ricerche dell’Ente Nazionale Risi e coordinatore del team scientifico, ha illustrato le linee guida del progetto e la sua strutturazione metodologica. Maria Martin, dell’Università di Torino, ha spiegato le dinamiche che i metalli pesanti, generalmente di origine litologica e quindi naturalmente presenti nei terreni, assumono nei suoli anche in funzione delle condizioni particolari di sommersione (e quindi di riduzione) dell’ambiente di risaia. Gian Maria Beone e Maria Chiara Fontanella, dell’Università Cattolica di Piacenza hanno approfondito le tematiche relative alle metodologie analitiche ed ai primi risultati riscontrati, mentre Terenzio Bertuzzi e Paola Giorni, sempre della Cattolica, hanno illustrato le innovative ricerche in atto nel settore delle possibili contaminazioni da micotossine.

Sul fronte dei metalli pesanti i dati che emergono dalle ricerche indicano l’esistenza di un problema di fondo consistente nella correlazione inversa tra le dinamiche di assorbimento del cadmio rispetto a quelle dell’arsenico, per cui per contenere un contaminante si rischia di incrementare l’altro. Le linee di azione per ovviare al problema sono diverse ed il progetto “Baby-Rice” le sta valutando tutte: dalla caratterizzazione dei terreni alla caratterizzazione varietale (alcune cultivar hanno dinamiche di assorbimento particolarmente spiccate rispetto ad altre), all’uso di ammendanti e fertilizzanti capaci di interferire con le dinamiche di assorbimento dei metalli pesanti (in particolare il calcio, il silicio e lo zolfo sembrano in grado, se apportati nelle dovute epoche e con le corrette modalità di limitare fortemente l’assorbimento di metalli pesanti nella pianta e nella granella). Particolare attenzione viene poi posta alla gestione dell’ acqua di irrigazione. Da un lato la semina a file interrate sembra incrementare l’assorbimento di cadmio da parte della pianta, un fenomeno che pare incentivato anche da una troppo precoce asciutta di fine stagione (il mantenimento della sommersione fino a maturazione cerosa della granella, pure positivo per altri aspetti agronomici, sembrerebbe correlato ad un minore accumulo di cadmio). Sul fronte dell’arsenico una asciutta in fase di inizio levata che ristabilisca un periodo di ossidazione dei suoli  avrebbe consentito interessanti risultati nel contenere l’assorbimento e l’accumulo di questo contaminante. Questa pratica (definita in letteratura scientifica internazionale “mid season drainage”) è tra l’altro ritenuta positiva per limitare le emissioni di “gas serra” o GHG (green house gas) ed ha quindi un rilevante risvolto benefico a livello ambientale.

Sul fronte delle micotossine la situazione del riso appare generalmente molto migliore rispetto a quella di altri cerali coltivati in Italia (il mais presenta spesso altissimi valori di aflatossine e fumonisine spesso derivanti da infezioni secondarie di funghi su attacchi di piralide, che possono entrare in catena alimentare e risultare cancerogene, per cui il mais di importazione “non comunitario” proveniente da coltivazioni geneticamente modificate per indurre la resistenza alla piralide, esente da micotossine, spunta quotazioni di mercato superiori a quelle del mais italiano, ormai ritenuto tra i più scadenti al mondo sul piano qualitativo).

Tuttavia anche nel riso meritano attenzione le possibili contaminazioni da ocratossine e da desossinivalenolo (DON), la tossina legata ad attacchi di Fusarium che tuttavia non sembra dare i problemi che si riscontrano invece su frumento. In prospettiva merita attenzione anche la possibile contaminazione da sterigmatossina, una micotossina su cui la Repubblica Ceca ha introdotto dei limiti e che il team scientifico del progetto “Baby-food” sta monitorando. Il progetto “Baby Food: un mercato da riconquistare” è cofinanziato nell’ ambito della misura 16.2.01 del PSR della Regione Lombardia. Autore: Marco Sassi

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