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BREVETTI INDUSTRIALI, SEMI A RISCHIO?

da | 7 Apr 2015 | NEWS

assosementiIl 25 marzo scorso la Camera allargata di appello dell’European Patent Office (EPO), chiamata ad esprimersi nei procedimenti di ricorso contro i brevetti rilasciati nei primi anni 2000 ad una varietà di broccoli ed una di pomodoro (noti come “Broccoli case” e “Tomato case”), ha fornito l’indirizzo che le nuove piante, anche se sono il risultato di procedimenti essenzialmente biologici, quali ad esempio i tradizionali processi di incrocio e selezione, non sono escluse dalla possibilità di brevettazione di tipo industriale secondo la Convenzione europea sui brevetti.  Assosementi critica la decisione che apre alla possibilità di tutelare anche in Europa i risultati del miglioramento varietale optando per un brevetto industriale concesso dall’Ufficio brevetti europeo, invece di continuare a ricorrere alle tradizionali privative a livello comunitario (regolamento 2100/94) o nazionale (D.Lgs. n. 30/2005). Però, mentre le privative consentono ai costitutori di nuove varietà di potere liberamente utilizzare nel loro lavoro di miglioramento genetico tutte le varietà esistenti (principio dell’esenzione del costitutore, secondo la Convenzione UPOV), un brevetto di tipo industriale esclude questa facoltà per tutta la durata della protezione. Nell’attesa di comprendere il concreto impatto della decisione dell’Ufficio brevetti europeo, l’Associazione italiana delle aziende sementiere manifesta la preoccupazione che la brevettabilità delle piante possa scoraggiare il miglioramento varietale laddove fossero presenti dei brevetti, in contrasto con l’esigenza di accrescere invece la ricerca in agricoltura ed accentuando il divario esistente tra le diverse tipologie di imprese sementiere. La procedura di esame dei due brevetti relativi al “Broccoli case” ed al “Tomato case” aveva già visto la Camera di ricorso dell’EPO esprimere nel dicembre 2010 l’avviso che “l’incrocio sessuale tra due diversi e interi genomi, e la conseguente selezione di una nuova varietà, è un processo essenzialmente biologico e quindi non brevettabile”. Questo è in linea, come facilmente si comprende, con quanto stabilito nella stessa Convenzione europea sui brevetti la quale esclude la brevettabilità di “varietà di piante o animali o procedimenti essenzialmente biologici per la produzione di piante e animali”. Il nuovo indirizzo conferma sì l’esclusione dalla brevettazione di un procedimento essenzialmente biologico, in quanto tale, ma non il suo risultato, cioè una nuova pianta. Abbiamo chiesto a Massimo Biloni, responsabile del settore riso per Assosementi, di leggere questa situazione alla luce degli interessi e delle dinamiche della filiera risicola ed ecco il suo giudizio: «la decisione EPO è sicuramente impopolare e susciterà molte reazioni. I costitutori varietali di specie autogame, come il riso, non hanno problemi con il breeder’s right, ovvero la possibilità di fare attività di miglioramento genetico con le loro varietà brevettate. Oggi il problema grosso di chi investe in Italia nella ricerca varietale di specie autogame (non ibridi) è la totale assenza della percezione del reato nell’uso illegale di seme aziendale (in inglese FSS, farm saved seed). L’uso di seme aziendale è sancito per legge e prevede il divieto di scambio tra agricoltori. Per l’uso proprio è inoltre previsto, nel riso in praticamente tutti i casi, il pagamento di una royalty al costitutore. Entrambe queste azioni illegali (lo scambio di seme tra agricoltori e il mancato pagamento della royalty al costitutore) sono oggi pacificamente lasciate correre non solo dagli agricoltori stessi ma anche dalle forze dell’ordine che probabilmente non ritengono prioritario il controllo di questi reati previsti dalla legge. Un Paese che non tutela chi fa ricerca non ha un grande futuro e costringe i costitutori a rifugiarsi in sistemi di sopravvivenza che talvolta si esprimono in un aumento dei prezzi delle sementi. Il costo della ricerca andrebbe pagato con le royalty mentre le sementi dovrebbero essere caricate del solo costo di produzione (moltiplicazione ed attività sementiera). Non essendoci alcuna forma di tutela in Italia dei diritti del costitutore, oggi il prezzo della semente comprende anche il costo della ricerca, non essendo recuperato in nessuna altra forma. Ricordo che in altri Paesi europei la separazione delle due voci di costo è già prevista con buon vantaggio di tutti gli agricoltori. Oggi invece chi compra semente certificata è costretto a sobbarcarsi il costo della ricerca anche per chi, usando semente aziendale, non paga le royalty. Auspico che si possa aprire un dialogo tra costitutori, agricoltori e forze dell’ordine affinché vengano salvaguardati i diritti di tutti e si possa lavorare con più correttezza da parte di tutti e per gli interessi di tutta la filiera». (06.04.15)

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