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2018, FUGA DALLA RISAIA?

da | 1 Feb 2018 | NEWS

Il punto di svolta è quota 30. Trenta euro al quintale per il Carnaroli sono un terzo del valore riconosciuto al re dei risotti qualche anno fa. Soprattutto, sono una ferita per i risicoltori che lo considerano un benchmark. E un totem. Prova ne sia il recente articolo di Eugenio Gentinetta, che metteva in evidenza proprio la crisi di questa varietà e che ha diviso provocato numerose (ed opposte) reazioni. Il prezzo del Carnaroli (nell’immagine, una confezione de luxe di Carnaroli di una nota industria risiera) è il simbolo della crisi e potrebbe esserne il punto di non ritorno. Se ne avvede anche l’industria, che infatti sta cercando di buttare acqua sul fuoco, ma che è divisa al proprio interno tra chi vorrebbe ancora approfittare del deprezzamento dei risoni e chi teme che la crisi sfugga di mano, riverberandosi innanzi tutto sui contratti della grande distribuzione. Per questo, da un lato l’Airi smentisce decisamente le voci – diffuse su Facebook dal gruppo Risikultori 3.0 (scarica la denuncia ) – che sarebbero stati usati similari del Carnaroli per gli aiuti alimentari (250 tonnellate): peggio di uno scandalo alimentare, in termini d’immagine, ed infatti l’industria mantiene sull’argomento la massima riservatezza. Di più: fa sapere di aver offerto nuovi contratti di coltivazione agli agricoltori ferraresi per incentivarli a coltivare varietà da risotto, che l’azienda Grandi Riso si impegna a pagare ai suoi 200 fornitori almeno 40 euro al quintale. I contratti di coltivazione sono invocati dalla Coldiretti, ma finora l’industria non si è mostrata molto propensa a stipularli, preferendo capitalizzare la discesa dei prezzi, tant’è che le poche produzioni contrattualizzate nel 2017 a 50 euro vengono ritirate con il contagocce e a prezzo di “aggiustamenti”, per quanto nel rigoroso rispetto dei termini contrattuali. Bisogna capire allora se il “caso Carnaroli” possa rappresentare anche per gli industriali un rischio da fronteggiare con strategie nuove.

Certamente, la prima richiesta dell’industria, quella di seminare tanto, è destinata a rimanere inascoltata. Secondo il sondaggio Ente Risi, i risicoltori italiani investiranno in risaia 22mila ettari meno di quelli che ha chiesto Mario Francese e 12mila meno dell’anno scorso. Si parla di una flessione del 5% che secondo alcuni potrebbe essere ancor più marcata, se i prezzi continueranno a deludere: con il mais a 18 euro è difficile spuntare produzioni profittevoli, ma la soia promette sicuramente un margine di guadagno maggiore del riso, a queste quotazioni. Vediamo ora l’orientamento varietale, ricordando che si tratta di un sondaggio sul 25% della superficie italiana. I tondi calano meno del previsto e meno dei medi: la discesa è frenata probabilmente da Sole cl e da altre varietà a basso costo ed alto rendimento. Vialone Nano, Arborio e Carnaroli perdono ettari, il che non sorprende vista l’aria che tira, mentre guadagna terreno il S.Andrea, che rappresenta una nicchia, si sta ritagliando un proprio mercato e gode della svalutazione degli altri “risotti”.  Loto e altri lunghi A recuperano terreno mentre meno scontata è la diminuzione del Roma, che dovrebbe procedere di pari passo al Baldo, mentre invece crolla: diversi i mercati ma soprattutto diverse le scorte. Il peso degli stock industriali di Barone cl si fanno ancora sentire. Il riso indica è in linea con l’anno scorso ma non con i desideri dell’Airi: l’ombra lunga delle importazioni cambogiane continua a spaventare.

Il quadro è dunque condizionato dall’andamento dei lunghi A da risotto, che rappresentano il vero made in Italy ma – nel quadro mondiale – sono caratterizzati da una domanda rigida e risentono per primi degli sbalzi produttivi. Lo prova, indirettamente, la differenza tra i contratti proposti per queste varietà, dove, seppur su quantità limitate, l’industria arriva a promettere quota 50, e quelli di tondi e indica, che non superano ancora quota 30 e prefigurano dunque una campagna commerciale tutt’altro che sfavillante.

L’argomento è stato oggetto di discussione alla consulta risicola nazionale, dove l’Ente Risi ha presentato questi dati evidenziando «un calo di circa 12.000 ettari (-5%) rispetto alle semine del 2017, per effetto dei cali registrati per la tipologia dei Tondi (-5.700 ha), dei Lunghi A (-4.900 ha) e dei Medi (-1.800 ha), mentre risulta stabile la tipologia dei Lunghi B». La consulta risicola, si legge nel resoconto, «ha fatto presente che esiste ancora tra i produttori una incertezza circa le varietà da seminare, pertanto, ha chiesto all’Ente di mantenere aperto il canale internet al fine di ricevere ulteriori contributi sulle intenzioni di semina».

Di seguito pubblichiamo i dati con i raffronti (fonte Ente Risi)

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