Tra alcuni mesi si vota. Non vi diremo come votare. Diremo ai politici cosa serve ai risicoltori per lavorare. Lo facciamo perché in giro c’è un’idea dell’agricoltura distorta da luoghi comuni. Abbiamo chiesto all’agronomo Giuseppe Sarasso, Accademico dell’Agricoltura di Torino e dei Georgofili di Firenze, di sintetizzare in alcune “pillole” la storia e le prospettive di alcune questioni calde: le offriamo ai nostri lettori e soprattutto ai politici, come vademecum. Chiunque vorrà, potrà inviare a direzione@risoitaliano.eu un breve testo che integri con una proposta questi scritti: sarà riportato in coda, con i riferimenti dell’autore. Un’ultima cosa: non pretendiamo che queste schede siano la “verità”, ma rappresentano le conoscenze tecniche di chi da generazioni coltiva riso, il cereale più diffuso al mondo e quello in cui l’Italia è leader produttivo in Europa. Vale la pena di tenerne conto, se si ama davvero questo Paese.
La normativa UE riguardo ai fitofarmaci si è fatta sempre più stringente a partire dal regolamento 108 del 2009. La revisione delle registrazioni ha fatto in modo che, dei 1.000 principi attivi allora autorizzati per l’agricoltura, ne siano rimasti 250. Per problemi tossicologici ne sono stati revocati 70; le ditte produttrici non hanno investito sulle prove tossicologiche necessarie alla registrazione degli altri 680, avendoli valutati incapaci di produrre profitto. La politica europea, riguardo a quelli approvati, è stata di iscrivere in una lista detta “di sostituzione” i principi attivi successivamente divenuti sospetti di creare problemi alla salute o all’ambiente. Per questi, la decisione di vietarli viene rimandata al momento della comparsa sul mercato di una alternativa valida. Il rame, pilastro della lotta fungicida in coltivazioni biologiche, da anni è stato iscritto in questa lista per il conclamato rischio tossicologico ed ambientale, e vi permane tranquillamente. Altri principi attivi sono stati invece vietati, dimenticando che al momento non sono disponibili soluzioni alternative. A seguito delle rimostranze dei rappresentanti agricoli, l’Ue ha recepito a posteriori l’indispensabilità di questi principi nella lotta agli organismi resistenti ai fitofarmaci disponibili, quindi valuta, anno per anno, la concessione cosiddetta degli “usi di emergenza”. Un’emergenza che essa stessa ha creato in violazione dei principi ispiratori della sua stessa legge, non attendendo la disponibilità di alternative efficaci. Alle varianti del mercato ed alla variabilità climatica, si aggiunge quella delle concessioni della Ue, che arrivano spesso a semine già effettuate. Segno di scarsa conoscenza, e scarsa attenzione all’attività produttiva agricola “convenzionale”, che produce oltre il 90% del cibo che consumiamo. La messa in produzione e la distribuzione di un fitofarmaco non sono semplici ed immediate come la stesura di un decreto: necessitano di tempo. Nessuno rischia di avviare la produzione di un erbicida, che senza deroga è invendibile, oppure deve essere rivenduto nei Paesi terzi nostri fornitori di cibo. Dal canto loro, gli agricoltori nell’impostare una campagna agraria devono avere un quadro certo delle armi a disposizione, per scegliere il tipo di coltura, la varietà, l’impostazione delle pratiche colturali, la prenotazione del seme, ecc. Se a qualcuno non piace la casa che abita, prima di lasciarla si assicura una soluzione migliore, altrimenti rischia di dormire sotto un ponte. Nel nostro caso però, a finire sotto i ponti sono gli agricoltori. Autore: Giuseppe Sarasso