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DUE BUOI PER UN TRATTORE

da | 6 Set 2020 | Non solo riso

Ismea

Il problema non era solo quello (non da poco) di convincere l’agricoltore a comprare il suo primo trattore, ma anche quello di piazzare la coppia di buoi data in permuta per fare posto a quel “coso” sbuffante a quattro ruote. Erano gli anni del boom economico dell’Italia che dopo la ricostruzione guardava al progresso, tra la Vespa e la 600, tra le dive biondo platino e Nilla Pizzi. E il 2 ottobre del 1962 a Mortara, la capitale della Lomellina, due giovani dalle idee brillanti e dalla volontà di ferro misero in piedi la ditta Sama, che significa Servizio Assistenza Macchine Agricole.

Uno spazio coperto a Porta Novara, che sapeva di olio lubrificante e fango di risaia. «Era un scommessa difficile – racconta Romano “Bruno” Villaggi, uno dei due soci fondatori di Sama – qui c’era già L’Agricola Lomellina, affermata concessionaria Ford, e c’erano in Lomellina ben 14 agenzie del Consorzio Agrario, dove si rivendevano i trattori OM e poi Fiat. Ci dicevano che saremmo stati soffocati dalle cambiali. Io rispondevo che noi speravamo solo nella salute». (Segue dopo la foto)

Romano “Bruno” Villaggi

Chi sono i fondatori della Sama

I due soci fondatori sono due tipi opposti come il giorno e la notte. Bruno Villaggi è uno che non resta mai senza parole, che tra la gente trova il suo habitat naturale. L’altro, Andrea Botti, è un eroe di guerra, che può vantarsi di tre medaglie al Valore, diventato in tempo di pace un esperto meccanico. Come dire che sono la coppia ideale, “naturale”, per occuparsi della Sama, uno come venditore e l’altro come responsabile dell’officina. «Botti – ricorda Villaggi – era un tecnico sopraffino, oltre che un uomo serio e un instancabile lavoratore. Purtroppo venuto a mancare nel gennaio di questo disgraziato 2020. Il nostro motto era lealtà e serietà. Soprattutto noi abbiamo sempre puntato sull’assistenza, sul farci sempre trovare al fianco dell’azienda agricola. E se oggi siamo l’unica struttura sopravvissuta in quasi 60 anni significa che quella strategia ha pagato».

Come si lavorava

Gli agricoltori che andavano alla Sama trovavano un’officina che sembrava una sala da ballo, pavimenti a lucido, ogni attrezzo al suo posto, dietro al bancone un registro su cui si annotava ogni trattore venduto, il prezzo, l’acquirente. Saranno in tutto oltre 2.000 quando nel 2001 Villaggi e Botti passeranno la mano alla Nuova Sama. Il che significa che quella coppia ben assortita ha davvero messo la Lomellina sul trattore. «Ogni anno – continua Villaggi – i nostri meccanici erano a Treviglio alla fabbrica della Same, per frequentare corsi di aggiornamento. I modelli si susseguivano, le innovazioni erano continue e noi non volevamo mai restare indietro. L’aggiornamento e l’innovazione erano il nostro pane quotidiano. E le aziende se ne accorgevano. Spesso capitava che era la nostra officina a realizzare modifiche che miglioravano le macchine agricole, che interveniva per apportare le migliorie necessarie in progetti non del tutto azzeccati». In officina si lavora di tornio e saldatrice, si fanno le famose “modifiche” che sono state la regola per gli attrezzi destinati alla risaia, un banco prova spietato per ogni attrezzatura agricola, costretta a lavorare in mezzo al fango, all’acqua che fa scoppiare i cuscinetti e corrode tutto. Nel 1970 arriva a suggellare il successo la nuova sede, in Strada Pavese. Un grande capannone che ospita l’officina e gli scaffali dei ricambi. Si vendono Same, Lamborghini e Hurlimann. Andrea Botti in officina fa regolarmente notte, Bruno Villaggi macina 50mila chilometri l’anno per girare nelle aziende.

«L’agricoltura aveva le sue regole non scritte – aggiunge Villaggi – non ricordo di aver mai venduto un trattore senza prima un pranzo abbondante o una cosiddetta “merenda” fatta di pane e salame, con l’inevitabile bottiglia di vino sul tavolo. Un mondo dove la parola era alla base di tutto, dove ogni scelta veniva elaborata a lungo, discussa, sviscerata. E noi dovevamo sconfiggere una concorrenza agguerrita, saper rendere i nostri Same più appetibili degli altri mezzi». La Ford si gioca i suoi Major e Supermajor, poi il 4.000 e il 5.000, la Fiat OM ha la sua agilissima “Piccola” e poi  l’850 che diventò 1.000, la Same oppone il suo Ariete, 82 cavalli, e tanti modelli di minore potenza, agili, che necessitano di poca manutenzione per il loro raffreddamento ad aria.

I racconti storici della ditta

«Sapevo quando partivo e non sapevo quando sarei tornato – ricorda ancora Villaggi – era un mondo che oggi rimpiango per i tanti amici che mi sono conquistato. Gli episodi vissuti sono infiniti. Ricordo un’azienda gestita da quattro fratelli di origine bresciana. Due erano convinti di acquistare un nostro trattore e due lo erano meno. Proposi la prova del trattore in azienda e loro accettarono, ma i due che erano dubbiosi restavano piuttosto freddi verso quel trattore. Dentro di me dissi che io dovevo vendere il trattore ad ogni costo, per una questione non solo commerciale, ma personale. A quel punto proposi di visitare la fabbrica Same a Treviglio e andammo tutti e cinque in stabilimento. Rimasero impressionati e al ritorno tornammo al nostro contratto, ma niente di concluso e tutto rinviato di nuovo. Dopo qualche giorno ho scoperto che a Orzinuovi, presso Brescia, c’era una fiera agricola piuttosto importante e quella famiglia era originaria della zona. Allora proposi una gita alla fiera di Orzinuovi, tutti e cinque. Tornati a casa per cena riprese la discussione sull’acquisto del trattore, a oltranza. Alle 2 di notte due fratelli dovevano assentarsi per la mungitura nella stalla e tornarono alle 4 per una colazione estemporanea con il latte appena munto. A questo punto io gli dissi che non sarei andato via da quella casa senza il contratto di vendita del trattore, perché era un ottimo trattore a un ottimo prezzo. Rincasai alle 5 passate, con in tasca il contratto firmato».

Indimenticabile anche quella volta che arrivò alla Sama un contratto che prevedeva per l’acquisto di un trattore la permuta di due grossi buoi da tiro, che dovevano abbassare le armi di fronte alla meccanizzazione della risaia. Perché allora la concorrenza non  era solo Ford e Fiat, ma anche il “Moro”, la “Bigia” o il “Corallo”, ovvero i cavalli da tiro o i buoi che da secoli muovevano l’agricoltura lomellina. Nel 1991 la Sama passò dal gruppo Same alla Chase, con l’allargamento del parco macchine alle mietitrebbie. Il che significò un altro impegno non da poco da aggiungere alla ditta, sia sul piano commerciale che su quello dell’assistenza. Un impegno durato altri 10 anni, fino al 2001. «Io dico sempre che noi abbiamo seguito la Lira – termina sorridendo Villaggi – perché con il 1 gennaio 2001 la nostra Sama ha lasciato il posto alla Nuova Sama, che segue con grande successo le nostre orme. E mi gratifica pensare che un po’ di questo successo sia merito nostro, di quella idea nata 60 anni fa, che è sopravvissuta mentre attorno tutto cambiava». E ancora oggi Bruno Villaggi va spesso a trovare quelli della Nuova Sama ed è accolto con la simpatia che si deve a un padre che ha saputo gettare la basi solide di un’azienda e passare la mano al momento giusto. Autore: Giovanni Rossi

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