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DENTRO LA PAC (2)

da | 24 Ott 2014 | NEWS

Prosegue l’analisi della Pac dell’avvocato Massimiliano Carnia di Biella, specializzato in tematiche agrarie. L’intento, in questo secondo articolo, è di fare chiarezza sistematica sul tema del pagamento ecologico (o greening). Buona lettura.

Parte Seconda:

B) Il pagamento ecologico (o greening)

  Il pagamento ecologico (greening) è una delle principali novità della Nuova Pac, in linea con quel processo di “inverdimento” del sostegno all’agricoltura più volte annunciato dalla Commissione Europea. In particolare il pagamento ecologico si inquandra nell’ambito di un programma politico europeo volto a favorire  pratiche agricole benefiche per il clima e per l’ambiente. Il greening è inoltre la seconda componente per importanza dopo il pagamento di base, di ammontare pari al 30% del massimale nazionale ed uguale per tutti gli Stati membri.

Gli agricoltori ne avranno diritto a condizione:

B1)  che percepiscano il pagamento di base.

Infatti se un agricoltore non possiede i titoli del pagamento di base non può neanche accedere al pagamento greening.

B2)  che rispettino sui loro ettari ammissibili tre pratiche agricole considerate benefiche per clima e ambiente e, più precisamente:

       B2.1) diversificazione delle colture;

       B2.2) mantenimento dei prati permanenti;

       B2.3) presenza di aree di interesse ecologico.

Le suddette pratiche agricole vanno rispettate congiuntamente con una precisazione: non sarà necessaria alcuna forma di mantenimento dei prati permanenti (requisito B2.2) qualora nell’azienda agricola non ve ne siano.

B3) – in alternativa a B2) che svolgano già pratiche equivalenti, vale a dire pratiche analoghe a quelle di cui ai punti B2.1, B2.2, B2.3 le quali generano un beneficio per il clima di livello equivalente o superiore. Ciò al fine di evitare una penalizzazione di quegli agricoltori che già adottano sistemi di sostenibilità ambientale.

Veniamo ora a trattare nel dettaglio le tre pratiche agricole benefiche.  In primo luogo:

B2.1) la diversificazione delle colture.

Tale pratica interessa solo le superfici a seminativo e viene ad applicarsi in funzione della superficie a seminativo:

– se la superficie a seminativo è inferiore a 10 ettari non sussisterà alcun obbligo di diversificazione;

– se la superficie a seminativo è compresa fra i 10 e i 30 ettari l’obbligo di diversificazione avrà ad oggetto un minimo di 2 colture e la coltura principale non dovrà superare il 75% della superficie complessiva;

– se la superficie a seminativo è superiore a 30 ettari l’obbligo di diversificazione avrà ad oggetto un minimo di tre colture, con la coltura principale che non dovrà superare più del 75% della superficie complessiva e con le due colture principali  che non dovranno superare il 90% della superficie complessiva.

Sono inoltre escluse dall’obbligo della diversificazione, le aziende in cui:

–  le superfici sono interamente investite a colture sommerse per una parte

significativa dell’anno (ad esempio il riso);

– i seminativi sono investiti per più del 75% a foraggio e/o a maggese, a condizione che i seminativi restanti non superino i  30 ettari;

– le superfici agricole sono investite per più del 75% a prato permanente, foraggio o a colture sommerse per una parte significativa dell’anno (ad esempio il riso), a condizione che i seminativi restanti non  superino i  30 ettari;

Importante è inoltre sottolineare la nozione di coltura diversa: una coltura è infatti diversa se appartiene ad un genere diverso nella classificazione botanica delle colture. Così, a mò di esempio, grano tenero e grano duro non sono colture diverse in quanto appartengono entrambe al genere Triticum; viceversa grano e orzo sono colture diverse in quanto il primo appartiene al genere Triticum mentre il secondo al genere Hordeum.

–      B2.2) il mantenimento dei prati permanenti.

Al riguardo è previsto l’impegno degli Stati Membri per assicurare che la superficie a prato permanente, in relazione alla superficie agricola totale, non diminuisca di oltre il 5%.  In particolare gli Stati Membri saranno tenuti  a mantenere una certa proporzione delle superfici a prato sulla base della “superficie di riferimento” dell’annualità 2015.

In Italia l’obbligo di mantenere la proporzione di prato permanente è obbligo rilevante a livello nazionale.

Inoltre è stato previsto il divieto di arare o convertire  prati permanenti siti in zone territoriali oggetto di speciale conservazione o protezione (c.d.Rete Natura 2000).

 Per le altre zone invece, gli agricoltori non possono  convertire i prati senza essere preventivamente autorizzzati da Agea, che rilascerà l’autorizzazione entro il tremine di 30 giorni.

– B2.3) la presenza di aree di interesse ecologico.

E’ stata prevista la creazione di vere e proprie aree di interesse ecologico. Esse si applicano solo alle superfici a seminativo; non si applicano alle colture permanenti e ai prati e pascoli permanenti. Ciò rappresenta una grande novità del negoziato perché esclude dall’obbligo le colture permanenti (vigneti, oliveti, frutteti, ecc.).

Le aree di interesse ecologico sono obbligatorie per le aziende con più di 15 ettari di seminativi e per almeno il 5% della superficie a seminativo.  La soglia del 5% potrà essere aumentata al 7% nel 2018.

Sono tuttavia escluse dallobbligo di creare zone di interesse ecologico, le aziende in cui:

– i seminativi sono investiti per più del 75% a foraggio e/o a maggese o a colture leguminose, a condizione che i seminativi restanti non superino i 30 ettari;

– le superfici agricole sono investite per più del 75% a prato permanente, foraggio o a colture sommerse per una parte significativa dell’anno (ad esempio il riso), a condizione che i seminativi restanti non superino i 30 ettari.

Il caso: 1) L’azienda agricola di Tizio è coltivata a seminativo ed ha un estensione di circa 120 ettari. Essa fa già diversificazione colturale coltivando frumento tenero , soia e mais in parti uguali ; sulla sua estensione sono inoltre presenti prati permanenti mai convertiti. Poichè la superficie coltivata è inoltre superiore a 15 ettari (cioè alla soglia al di sotto della quale è esclusa la creazione delle aree di interesse ecologico) e l’azienda non prevede foraggere permanenti (requisito che avrebbe permesso di escludere le aree ecologiche indipendentemente dalla superifice coltivata), l’azienda di Tizio dovrà creare aree ecologiche. Più precismanete dal 2015 dovrà sottrarre 6 ettari (5% dei 120 ettari complessivi) da destinare a scopi ambientali.

2)   L’azienda agricola di Caio è un azienda di allevamento di suini e coltiva solo mais per il mangime su una superficie di 60 ettari. In questo caso non è rispettato l’obbligo di diversificazione (su 60 ettari occorrono infatti tre colture) ed inoltre è necessario anche qui creare aree di interesse ecologico, poiché la superficie coltivata risulta di 60 ettari (quindi superiore alla soglia dei 15 ettari al di sotto della quale sarebbe esclusa la creazione di aree di interesse ecologico). Per il mais potrà quindi destinare non più di 45 ettari (la coltura principale infatti non può essere superiore al 75% della superficie complessiva), impegnando gli ettari restanti per altre colture. Di questi 15 ettari restanti 3 ettari (5% dei 60 ettari complessivi) prenderanno la via dell’inverdimento, uscendo dalla superficie produttiva.

3)   L’azienda agricola di Sempronio, della superficie complessiva di 150 ettari, è destinata per più del 75% alla coltivazione di riso sommerso senza che i seminativi restanti siano superiori a 30 ettari. In tal caso non sussisterà né alcun obbligo di diversificazione né tantomeno la necessità di creare aree di interesse ecologico.

Infine occorre ricordare anche le

B3) pratiche equivalenti.

Infatti, per evitare di penalizzare quanti già adottano sistemi di sostenibilità ambientale, è stato adottato un sistema di cd. “equivalenza d’inverdimento” in base a cui le prassi favorevoli all’ambiente già in vigore sostituiscono gli obblighi del greening.

Le pratiche equivalenti del greening sono quelle pratiche agricole  benefiche per il clima e per l’ambiente

Rientrano nelle pratiche equivalenti:

– i regimi agroambientali dei piani di sviluppo rurale che adottano misure equivalenti;

–      i sistemi di certificazione ambientale, nazionali o regionali.

Riportiamo di seguito alcuni esempi di pratiche equivalenti:

– Gestione (potatura, sfrondatura, date, metodi, restauro) di elementi caratteristici del paesaggio (alberi, siepi, vegetazione ripariale arborea, muretti di pietra, fossati, stagni);

– Mantenimento di suoli torbosi o umidi arabili seminati a erba (con assenza di uso di concimi e prodotti fitosanitari);

– Conversione di seminativi in prato permanente ad uso estensivo;

– Gestione di bordi all’interno di campi e appezzamenti per fauna selvatica o fauna specifica (bordo erbaceo, protezione di nidi, fasce con fiori selvatici, sementi locali miste, colture non raccolte).

Va infine ricordato come il mancato rispetto del greening comporti la riduzione del pagamento ecologico; l’agricoltore che non rispetta il greening perde solo tale pagamento. Ma questa norma vale fino al 2016.

Dal 2017, le penalità aumentano. Infatti, a partire dal 2017, il mancato rispetto del greening comporterà una sanzione applicabile anche al pagamento di base (di importo pari al 20% del pagamento verde nel 2017 e al 25% nel 2018). In altre parole, dal 2017, l’agricoltore che non rispetta il greening perde tale pagamento e va a intaccare il 20-25% del pagamento base. Autore: Massimiliano Carnia, avvocato presso il foro di Biella, studio in via XX Settembre n.17 (22.10.14)

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