Il Crea presenta oggi a Vercelli i risultati del progetto Risobiosystems, nell’ambito di un convegno online. Il direttore di CREA-CI, Prof. Nicola Pecchioni, ci ha rilasciato questa intervista esclusiva in cui rivela che le rese del riso biologico sottoposto ai test – oggetto di infinite polemiche, anche su Risoitaliano – oscillano tra 3,4 e 5 tonnellate a ettaro.
Rese di Risobiosystems del CREA: la parola al prof. Nicola Pecchioni
Professor Pecchioni, quali sono i motivi per cui è stato finanziato e dove doveva portare?
Il progetto nasce dalla volontà del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) di far nascere uno studio tecnico-scientifico, ampio e approfondito, per fornire dati e indicazioni scientifiche che potessero dare delle risposte ad alcuni problematiche segnalate dal territorio relative alla produzione del riso biologico, e per sperimentare soluzioni tecniche utili per il settore. Con il fine ultimo di sostenere e far crescere in qualità e competenza i sistemi di produzione di riso biologico nazionale. E’ stata creata pertanto una squadra di progetto che ha messo assieme alcuni dei maggiori attori della ricerca Nazionale in risicoltura.
È stato affidato al CREA di Vercelli il coordinamento, e chiesto ad esso e ai partner Ente Nazionale Risi, Università di Torino, Università di Milano e CNR di realizzare un progetto di ricerca multidisciplinare, che studiasse le agrotecniche e le altre pratiche agronomiche valide per la risicoltura biologica, approfondisse gli aspetti economici, analizzasse e proponesse delle soluzioni in merito alle criticità del sistema di certificazione e controllo, e in ultimo verificasse e valutasse la contaminazione ambientale nelle aree risicole. E, per tutto questo, coinvolgendo anche i cosiddetti “stakeholder” o portatori di interesse, tra i quali i principali interessati cioè le aziende risicole, i tecnici del settore, i funzionari pubblici, in modo da permettere un’ampia partecipazione e una efficace ricaduta dei risultati. Oggi 10 novembre presentiamo e discutiamo i risultati finali di questo lavoro di squadra.
Quali sono le metodologie scientifiche utilizzate?
L’approccio è stato multidisciplinare. Cioè, dovendo affrontare il tema della risicoltura biologica a 360°, in un momento in cui lo stesso settore era in una fase di forte evoluzione, abbiamo utilizzato diverse metodologie scientifiche: dalla agronomia al miglioramento genetico e alla scienza del seme, all’economia agraria e agli studi ambientali, all’applicazione dei metodi della cosiddetta ricerca partecipata.
La base su cui si sono svolte le ricerche è stata sia i campi sperimentali presso il Centro Ricerche dell’ENR e il CREA di Vercelli, sia i campi “on-farm”, cioè direttamente presso le aziende biologiche, sia i laboratori dei gruppi di ricerca partecipanti. Sono state utili inoltre le banche dati disponibili sul biologico e sulla contaminazione ambientale.
Quali sono specificamente le attività svolte da CREA?
Il CREA ha svolto l’attività di coordinamento, non semplice data la multidisciplinarietà come già detto degli approcci. Lo scrivente Coordinatore fortunatamente ha sempre trovato la disponibilità dei partner di progetto, e soprattutto l’instancabile aiuto del dott. Stefano Monaco del Centro di Cerealicoltura e Colture Industriali di Vercelli. Nel merito del progetto, il CREA ha svolto attività diverse, divise per competenza tra i vari Centri che hanno partecipato. Il Centro di Ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali di Vercelli, oltre ad avere avuto l’onore e onere del coordinamento, ha svolto attività relative alla valutazione delle varietà più adatte alla coltivazione in biologico, e allo sviluppo di prodotti specifici per migliorare lo stato della coltura e la difesa da alcune patologie, per quest’ultimo aspetto insieme ai centri CREA per la Difesa e Certificazione e per la Genomica e Bioinformatica.
Per quanto riguarda invece l’analisi del sistema di certificazione e controllo e l’analisi della sostenibilità economica del settore della risicoltura biologica, il progetto ha sfruttato le competenze del Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia. È importante comunque sottolineare come tutte queste attività siano state validamente realizzate anche grazie alla collaborazione e al contributo degli altri partner di progetto, Università, CNR ed Ente Nazionale Risi.
Quali produzioni per ettaro avete riscontrato in relazione alle diverse metodiche di coltivazione biologica?
Un’attività del progetto era dedicata alla valutazione delle produzioni aziendali di risone. In un campione di 14 aziende biologiche, distribuite in diverse aree risicole, dalla Baraggia vercellese alla lomellina, sono stati individuati alcuni appezzamenti rappresentativi per agrotecnica, varietà e coltura precedente al riso, la cui produzione di risone è stata interamente pesata. Il numero maggiore di rilevazioni effettuate (22 appezzamenti) si riferiscono alla tecnica della semina su coltura di copertura, la cosiddetta “pacciamatura verde”, per la quale abbiamo potuto rilevare un dato medio “on-farm” di 4,6 t/ha di risone riportato al 13% di umidità. La tecnica della falsa semina in acqua e la tecnica della falsa semina in asciutta hanno fatto registrare una media rispettivamente di 5,0 e di 3.8 t/ha di risone al 13%, ma il numero di rilevazioni è stato inferiore al campione precedente.
Se gli stessi dati sono analizzati considerando invece le varietà, a titolo di esempio, il dato produttivo riferibile al gruppo dei risi a grani medi, cui appartiene il Rosa Marchetti, ha avuto un risultato medio di 5,1 t/ha di risone al 13% di umidità, il gruppo Baldo di 5.2 t/ha e il Carnaroli di 3.4 t/ha. Pertanto, sulla base dell’esperienza di progetto, è importante sottolineare l’importanza di collegare il dato produttivo ad uno specifico agro-ambiente, all’agrotecnica biologica adottata e alla varietà.
Quali tecniche sono più promettenti? (pacciamatura verde, con film…)
Le tecniche di produzione del riso biologico sono finalizzate innanzitutto al controllo delle infestanti, che è la problematica più rilevante dal punto di vista gestionale della risicoltura bio, ed è quella che ne determina le maggiori perdite produttive. Dall’esperienza fatta nel progetto, la tecnica della “pacciamatura verde” ha dato buoni risultati che dipendono soprattutto dalla buona riuscita della coltura di copertura nella quale si semina il riso, generalmente seminato a spaglio o, in alternativa, con la semina interrata su sodo. La tecnica della semina interrata, più adatta a suoli leggeri, prevede invece il controllo meccanico delle infestanti in presemina e in copertura con l’erpice strigliatore.
È da sottolineare che per la buona riuscita delle tecniche è necessaria l’adozione di una corretta rotazione tra le colture sullo stesso appezzamento, oltre al riso, e la messa a punto dell’agrotecnica in funzione delle specifiche condizioni pedo-climatiche dell’azienda in cui si applica. Il progetto ha anche valutato tecniche “innovative” quale il trapianto meccanico e l’uso della pacciamatura con film bioplastico, ma le prospettive di diffusione di queste tecniche appaiono più limitate. E’ giusto segnalare che i risultati della sperimentazione delle tecniche saranno comunque resi disponibili pubblicamente, per una loro chiara lettura. A tale proposito, il progetto ha anche realizzato dei video divulgativi sulle principali agrotecniche (https://www.youtube.com/watch?v=tt50Ck94qDI, https://www.youtube.com/watch?v=Pn7U-AjLYDI), sul tema della risicoltura biologica dal punto di vista dei ricercatori che hanno preso parte al progetto (https://www.youtube.com/watch?v=3nPJ9KhMtEY) e un video sul progetto stesso (https://www.youtube.com/watch?v=rbrnGR5brqI).
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