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LA VERITÀ SU RESIDUI E DISERBANTI

da | 28 Lug 2019 | Non solo riso

L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare  (EFSA)  ha reso noto il Rapporto sui residui di fitofarmaci negli alimenti relativo al 2017 (https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2019.5743 ). Il rapporto  raccoglie i dati di circa 90mila campionamenti effettuati dai 28 Paesi membri dell’UE oltre che dall’Islanda e dalla Norvegia. Il 65% dei campioni analizzati riguarda prodotti agricoli ottenuti in Europa, il 29% riguarda prodotti importati da Paesi terzi, mentre per il 7% dei campioni l’origine non è nota. Tra i campioni di alimenti analizzati si conferma l’elevato standard di sicurezza dei prodotti agroalimentari circolanti in Europa relativamente a questo parametro. Infatti solo il 4% dei campioni analizzati ha presentato superamenti dei limiti di residui consentiti (LMR), mentre il 96% sono risultati conformi alle normative. In particolare il 54% dei campioni analizzati non presenta residui di sorta ed il 42% presenta residui compresi tra il limite di quantificabilità analitica (LDQ) ed il limite di sicurezza (LMR).

Italia sicura

Come di consueto i prodotti italiani presentano standard di sicurezza superiori alla media europea con il 97,5% di campioni regolari, di cui il 65% assolutamente privi di residui di prodotti fitosanitari. Di segno talora significativamente diverso i dati relativi a campioni di provenienza estera, in cui gli sforamenti dei limiti consentiti salgono ad una media del 7,8%. In specie si evidenziano i superamenti dei LMR nel 38,7% dei campioni provenienti dalla Malesia, nel 21,1% di quelli originari del Pakistan, nel 19,5% dei campioni dello Sri Lanka e nel 19,2% di quelli provenienti dal Vietnam. Va un poco meglio per i prodotti di provenienza indiana, cinese e cambogiana, con “solo” il 15,3, il 14,8 ed il 7,6% di superamenti dei LMR rispettivamente (con buona pace dei consumatori “radical-chic” nostrani che comprano solo prodotti alimentari provenienti da questi Paesi in cui “il contadino lavora come una volta e non usa i pesticidi”).

Il peggiore è il miele

Del tutto tranquilla appare invece  la situazione relativa ai prodotti provenienti dal Canada, spesso al centro di polemiche per l’importazione dal Paese nordamericano di frumento – peraltro di altissima qualità molitoria – nella cui produzione si farebbe uso del tanto discusso  glifosate: i superamenti di LMR riguardano in questo caso appena lo 0,9% dei campioni analizzati. Ed a proposito di glifosate (cui lo studio EFSA dedica un intero capitolo) i dati appaiono particolarmente interessanti. Per questa sostanza attiva il 97,5% dei quasi novemila campioni analizzati è risultato totalmente privo di residui, mentre il 2,26% ha presentato residui inferiori ai limiti di sicurezza. I campioni fuorilegge sono stati appena 21 (0,24% del totale) di cui tuttavia ben 8 derivanti da produzioni agricole certificate come “biologiche”. Il prodotto più contaminato è risultato il miele con 7 campioni provenienti dalla Germania ed uno dall’Austria (il fatto che residui della molecola si trovino nel miele, pure in sè deprecabile, sembrerebbe smentire certe tesi circa la  presunta pericolosità del prodotto per le api). Per altri 8 campioni fuorilegge (5 di avena e 3 di grano saraceno) non è stata accertata la provenienza, mentre provenivano dall’ Italia (un campione di asparagi ed uno di avena), dalla Polonia (un campione di pere ed uno di grano saraceno), e dalla Francia (un campione di riso) gli altri prodotti con residui di glifosate superiori ai limiti di sicurezza.

Riso d’importazione

A proposito di riso, a parte il caso francese appena segnalato, i rinvenimenti di residui di prodotti fitosanitari superiori ai limiti di sicurezza riguardano esclusivamente merce d’importazione e sostanze che non sono ammesse per l’impiego in agricoltura in Europa come il fungicida carbendazim e lo ione bromuro ( il bromuro di metile sarebbe tuttora impiegato come insetticida e biocida nel subcontinente indiano). Tra le sostanze attive registrate in Italia solo i fungicidi azoxystrobin e flutriafol hanno fatto registrare rinvenimenti, comunque inferiori ai limiti di sicurezza (1,7 e 0,3% dei campioni rispettivamente).

Fronte caldo

Quello dei residui di prodotti fitosanitari rischia peraltro di diventare terreno di scontro internazionale. Il 3 luglio scorso il Canada ha presentato al WTO un ricorso contro le politiche commerciali dell’ Unione Europea, cui è seguito un ulteriore ricorso firmato il 4 luglio da 16 Paesi (tra cui USA, Australia, Brasile, Uruguay e lo stesso Canada). In essi si accusa in sostanza  l’UE di voler implementare politiche commerciali sleali con la creazione barriere non tariffarie per impedire la concorrenza ed il libero scambio dei prodotti agricoli attraverso una ingiustificata limitazione dei prodotti fitosanitari utilizzabili ed una arbitraria ed unilaterale riduzione dei relativi LMR. Secondo alcuni osservatori si tratterebbe di una mossa preventiva in vista della scontata revoca dell’autorizzazione del glifosate nell’UE –che si pensa arrivi al più tardi nel 2022, alla scadenza dell’attuale registrazione- in modo da stabilire fin da ora un livello di “import tolerance” (cui in effetti i due documenti fanno esplicito riferimento) che consenta ai Paesi ricorrenti di continuare a mandare in Europa le loro produzioni in particolare cerealicole. Produzioni peraltro spesso richieste dall’industria europea per i loro elevati livelli qualitativi, sia per caratteristiche “tecnologiche” di idoneità alla lavorazione, che igienico-sanitarie (assenza di micotossine), non di rado molto superiori a quelli delle produzioni comunitarie. D’altra parte quello di una crescente dipendenza della “vecchia” Europa dalle importazioni  di beni alimentari di prima necessità da Paesi terzi appare uno scenario tutt’altro che fantascientifico. Specie se dovessero prevalere -a livello comunitario o nazionale- linee politiche volte a limitare ulteriormente o addirittura vietare totalmente l’attuazione di razionali pratiche di difesa fitosanitaria delle colture.

Un futuro senza diserbanti?

Un recente studio realizzato da V-safe (“spin-off” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza) dal titolo “Il ruolo degli agrofarmaci nell’agroalimentare italiano” fornisce in proposito interessanti dati per una riflessione. In specie lo studio realizza una stima delle perdite di produzione che si verificherebbero in Italia passando dallo scenario attuale con difesa fitosanitaria (comprensiva di tecniche di agricoltura integrata, sia obbligatoria che volontaria, ma anche di una quota di “biologico”) ad uno “senza difesa” ovvero con totale dismissione degli agrofarmaci. Secondo lo studio, nello scenario “senza difesa”  le rese produttive subirebbero una riduzione che come minimo raggiunge il -57% (grano tenero), mentre nel peggiore dei casi si registra un azzeramento quasi totale della produzione (ed es. pomodoro da industria -81%, riso -84%, mais -87%).  Inoltre V-safe rileva le dirompenti conseguenze a livello di filiere agroalimentari (con ripercussioni sulle attività produttive situate sia a monte che a valle della fase agricola) e sull’economia generale del Paese che deriverebbero da un calo produttivo così drastico. Al tempo stesso lo studio evidenzia il pericolo che, a fronte della carenza di materia prima agricola di origine nazionale, operatori esteri possano trarne profitto puntando sulla “contraffazione” dei prodotti alimentari italiani e sul fenomeno del cosiddetto “Italian sounding”. Per questo lo studio di V-safe conclude che “gli effetti di un ipotetico totale abbandono di agrofarmaci in agricoltura sarebbero dirompenti sul comparto agricolo sia a livello di produzione, in valore e in quantità, che in termini di occupazione, diretta e indiretta, che di contributo alla bilancia commerciale”.

A conclusioni non dissimili giunge il documento “Intensificazione sostenibile” presentato lo scorso 8 luglio a Roma da AISSA (Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie) che dopo avere definito “necessaria una maggiore consapevolezza della centralità della produzione agraria e del sistema agroalimentare italiano” definisce “pericoloso pregiudicare la sicurezza e la sovranità alimentare e dei prodotti delle risorse naturali rinnovabili forestali, esponendo ulteriormente il Paese alla mercé dell’importazione poco controllata di derrate alimentari o di prodotti di dubbia provenienza”. Osservazioni sensate, che potrebbero essere utili all’acceso dibattito in corso sul futuro dell’agricoltura italiana ed europea, se solo esso si sviluppasse lungo la strada maestra della sofferta oggettività del metodo scientifico, e non fosse “inquinato” da troppi pregiudizi ideologici o da qualche speculazione di breve respiro magari funzionale agli interessi di qualche “furbetto” in cerca di facile guadagno … di cui peraltro il mondo è così ricco. Autore: Flavio Barozzi, agronomo

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