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RISO DEI MIRACOLI

da | 18 Giu 2017 | Non solo riso

Quando parli di Piero Rondolino, in risaia incroci sguardi che sembrano dirti “quello lì è un furbacchione”. Difficile dar torto ai suoi colleghi, soprattutto ora che si ritrovano a vendere il risone a 20 euro al quintale: con gli stessi soldi, nelle boutique del gusto di Milano, acquisti un chilo di riso Acquerello. Non avviene da oggi: era così anche quando il Carnaroli viaggiava intorno ai 100 euro e allora pochi badavano al teorema Rondolino: fai un prodotto esclusivo, garantisci una qualità elevata e i consumatori pagheranno quello che chiedi. Lui, naturalmente, preferisce offrirne una spiegazione più “poetica” ma la realtà è che l’architetto Piero Rondolino (foto piccola), nato e cresciuto in una famiglia di risicoltori, capisce i consumatori meglio di tanti suoi colleghi che annaspano con la vendita diretta o si trascinano sotto il giogo dell’industria. Attraverso anni di lavoro e investimenti, Rondolino ha fatto dell’Acquerello l’archetipo del riso di lusso e della Cascina Colombara di Livorno Ferraris un centro culturale al servizio del suo prodotto, miscelando con innegabile sapienza il marketing del territorio e l’inclinazione modaiola.

Non c’è trasmissione televisiva che parli del riso in cucina senza citare Acquerello (eccezion fatta, ovviamente, per quelle promosse dalla Coldiretti), non c’è grande chef che non sia stato contattato, coinvolto, sedotto dal messaggio dei Rondolino (al progetto lavorano, oltre al Piero, la moglie Maria Nava e i tre figli Rinaldo, Umberto e Anna), non c’è fotografo di grido che non abbia fissato nell’eternità uno scorcio della Colombara. Tra tutti, Gianni Berengo Gardin, perché il “furbacchione” punta sempre in altissimo. Così, sempre per valorizzare il brand, l’imprenditore vercellese non si è limitato a ristrutturare la cascina ma ha recuperato gli ambienti usati in passato dalle maestranze che vi lavoravano. Tanti risicoltori hanno cercato di attrarre i consumatori con un piccolo museo rurale. Lui no. Lui ha creato il “conservatorio della risicoltura”, dove il tempo sembra essersi fermato agli anni Quaranta. Ci organizza i suoi “mercoledì riso” in collaborazione nientemeno che con la rivista Topolino. Insomma, se non esistesse più la Venaria, tutti penserebbero che Riso Amaro sia stato girato qui (e non è improbabile che molti clienti del Rondolino lo pensino).

Ma come ha fatto? Valorizzando il processo di produzione del riso lavorato oltre ogni limite dell’umana fantasia, investendo in tecnologie e story telling. La miglior materia prima e importanti investimenti in comunicazione, ma non solo. La nuova riseria è del 2001 (nove anni dopo la nascita della caratteristica lattina sottovuoto di Acquerello) ed è stata creata per migliorare e ampliare la produzione di riso invecchiato, che rappresenta da sempre il prodotto di punta del Rondolino, pronto a giurare che il riso “anziano” sia il migliore. Quello della Colombara riposa fino a sette anni per attraversare poi 20 passaggi di lavorazione. Al centro del metodo Acquerello vi è il recupero di un metodo antico, quello dell’elica (1884), lento e delicato quanto si deve per un riso che è un gioiello e che quindi deve presentarsi al consumato con un chicco perfetto, senza fessurazioni, che garantisca un’assoluta lealtà in cucina. Il “furbacchione” la qualità te la vende davvero, solo che la fa pagare quanto altri non sanno farla pagare. Si aiuta in questa sfida con un’altra soluzione tecnica, che è il reintegro della gemma di riso, estratta dal risone e mescolata al riso lavorato, che ne assorbe le proprietà nutrizionali. Altro teorema: mangi riso lavorato che è ricco quanto quello integrale, quindi lo paghi bene ma ti fa meglio del normale riso bianco. Vi risparmiamo i commenti trionfali dei vari Bottura e Ducasse, conquistati dall’idea di un riso che non devi tostare, perché sovviene l’invecchiamento nel sigillarlo in cottura. Ovviamente, l’Acquerello è il riso più consumato nei banchetti di Stato e sul jet set, anche grazie all’amicizia tra due furbacchioni (il Piero e il Carlin Petrini, che l’ha accolto alla corte di Slow Food).

Giunti a questo punto del racconto, ci resta un solo dubbio: con questi chiari di luna, cioè con i prezzi del risone in caduta libera e una svalutazione strisciante del prodotto italiano, anche l’Acquerello dovrà rivedere i suoi piani e i suoi prezzi? Lo abbiamo chiesto al “furbacchione” che ci ha risposto così: «È la prima volta che mi sento dare del “furbacchione”, ma si sa, tra colleghi del riso… Nel preservare il reddito del nostro lavoro a me sembra di essere stato solo prudente, pensando che bisognava fare qualcosa di diverso dagli altri: studiare per non copiare. Nel 1991, due anni dopo la caduta del muro di Berlino, era prevedibile che un po’ per volta sarebbero quasi scomparse le barriere doganali e le protezioni dei prezzi dei prodotti agricoli. Non vedevo futuro nel fare affidamento sugli aiuti, era necessario tirarsi su le maniche, lavorare ancora di più con i familiari e i dipendenti. Si era iniziato a parlare di filiera corta che vuol dire fare direttamente la coltivazione, la trasformazione e la vendita, erano i tre storici mestieri: agricoltura, industria, commercio. Ma non sarebbe bastato perché stava prendendo sempre più importanza la conoscenza dei valori del prodotto e la sua riconoscibilità.  Quanti mestieri abbiamo tutti noi dovuto imparare, e non abbiamo ancora finito!  E quanti investimenti in cose e persone per raggiungere il livello e la qualità di Acquerello! Per questo non ci sarà una “svalutazione strisciante” del suo prezzo».

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