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SOSTENIBILITÀ È RISPETTO

da | 6 Ott 2019 | Non solo riso

Sostenibilità. Al centro del convegno che si è svolto nella mattinata di giovedì 3 ottobre durante l’inaugurazione della nuova sede di Confagricoltura Lombardia, a Milano, c’è questa parola estremamente complessa, non solo per un fattore ambientale ma per la sua vocazione inclusiva, legata spesso a temi che diventano alibi per non agire. Se si prova invece a rimandarla al concetto di “rispetto” (guardare dietro/riconoscersi), la storia cambia. E’ un modo della nostra sensibilità e deve essere inteso in tutte le sue sfaccettature perché funzioni. Vediamo cosa è emerso dai singoli interventi del convegno.

Com’è la Lombardia oggi?

Apre il dibattito del 3 ottobre Antonio Boselli, Presidente di Confagricoltura Lombardia: «La fortuna del nostro territorio non è da sottovalutare. Il nostro sistema economico è stato agevolato dal fattore acqua, zootecnia diffusa, florovivaismo, agricoltura convenzionale, biologica, a residuo zero e la grande distribuzione. Siamo passati attraverso una storia: dopo la guerra ci è stato chiesto di produrre e, l’abbiamo fatto, anche utilizzando in maniera eccessiva i mezzi a nostra disposizione (concimi, diserbanti,..); oggi ci viene chiesto di produrre in modo sostenibile per il nostro “rispetto”, per quello della terra e, possiamo essere i primi ad avere un ruolo di svolta in questo contesto di cambiamento. Per fare innovazione, le aziende devono fare grossi investimenti e, per questo serve reddito: quello che chiediamo allo Stato è la possibilità di essere sostenuti economicamente creando condizioni di lavoro equo per tutti. Diciamo grazie a Regione Lombardia perché ci sta dando una grossa mano con i Psr ma, resta la preoccupazione per la nuova Pac, dove la sostenibilità sarà alla base del progetto di Riforma: non basta piantare verde, bisogna curarlo e noi agricoltori lavoriamo per questo. Partiamo da una posizione di vantaggio con il “made in Italy” ma ci troviamo in questa condizione paradossale in cui l’export dei prodotti trasformati sta andando bene (ad oggi trend di circa 3 miliardi) mentre con i prodotti della filiera agricola siamo sotto di 7 miliardi e non riusciamo a ridurre questo gap. E’ oggettivo che le derrate dall’estero finiscono nel circuito di trasformazione italiano a costo zero. Sicuramente gli accordi internazionali (non solo fatti di dazi ma anche vincoli sanitari) sono fondamentali. Secondo Ismea, il dato più significativo è che esportiamo in Europa i due/terzi della produzione perché l’agricoltura è simile alla nostra e le leggi anche, nel resto del mondo ci viene difficile, senza contare che soffriamo la mancanza di infrastrutture e il non avere nelle ambasciate un addetto commerciale e all’informazione è un’ulteriore carenza. La soluzione? Dobbiamo avere la forza di tornare a fare un sistema Paese che ci traina». Ricordiamo che la Lombardia è la prima regione agricola della penisola: sono 41mila le aziende agricole lombarde all’avanguardia per innovazione tecnologica, benessere animale e forte predisposizione all’export ma, potrà mai questa “agricoltura faro” cadere in una crisi regionale?

La Lombardia è sostenibile?

«Parto dal presupposto che i consumatori saranno sempre più attenti a tutta la tematica della sostenibilità: che piaccia oppure no questa questione è da affrontare – afferma Fabio Rolfi, Assessore all’Agricoltura, alimentazione e sistemi verdi di Regione Lombardia -. A livello politico come decliniamo questa sostenibilità? Non si può solo perseguirla imponendo procedure ed appesantendo le Riforme con mille condizioni. Nell’innovazione c’è ampio margine di sostenibilità ed a mio parere questa è la via da perseguire anche in chiave economica (reddito). Abbiamo sottolineato l’importanza dell’acqua, anche qui servono interventi massicci d’innovazione: la prima misura di questo Psr è indirizzata ad una politica performante perché aiuta il Paese nell’investimento di ciò che è più complesso e problematico (sistemi di fertirrigazione, subirrigazione). Bisogna ricordare che siamo già una regione green: il 40% degli impianti biogas sono in Lombardia, il comparto zootecnico i conti sul tema dell’inquinamento li ha già fatti da tempo ed è stato uno dei primi a volgersi a favore dell’ambiente. Per l’utilizzo della sostanza organica nella concimazione dei suoli bisogna aggiornarsi: la direttiva nitrati è del ’91, dobbiamo garantire sostenibilità approvando un Piano d’azione più moderno ed intelligente. Purtroppo oggi conviviamo con un quadro normativo vetusto, in completo contrasto con il tema della sostenibilità, che lega mani e piedi alle aziende ed è un costo indiretto in aggravio alla competitività della nostra agricoltura. Invito ad affrontare questo dibattito soprattutto nelle sedi istituzionali. Al nostro Paese serve più internazionalizzazione: come mai l’Italia è arrivata ad una frammentazione nello scenario delle rappresentanze? La risposta è semplice, è mancata la regia dello Stato, se il tema è condividere obiettivi noi come Regione Lombardia ci siamo ma, se è far gestire i nostri Psr a Roma allora un grande “No, grazie”, su questo non ci muoviamo di un millimetro. L’internazionalizzazione si fa con le infrastrutture, sia sì a tutto per trasportare le merci, gli spagnoli ci hanno superato non perché fanno la frutta migliore ma perché sono più avanti dal punto di vista logistico. Ci auguriamo inoltre che la carriera diplomatica degli ambasciatori venga rivista in funzione a quanti accordi commerciali riescono a chiudere positivamente per la nazione: questo è dare un senso moderno».

Sappiamo rispettare?

«Torniamo alla parola “rispetto” – continua Ruggero Invernizzi, Presidente Commissione Agricoltura del Consiglio Regionale della Lombardia – è il termine che realmente ci può far capire cos’è la sostenibilità. E’ sensibilità, volersi bene, volerne agli altri e ci porterebbe ad affrontare tutto nel migliore dei modi: se vogliamo avere un futuro bisogna ragionare cercando di avere buon senso.. ed è quello che noi come Regione stiamo facendo. Ci siamo organizzati in team ed affrontiamo insieme i grandi temi: territorio, multifunzionalità, economia circolare, aree rurali. Regione Lombardia ha una linea che va seguita, che va presa come esempio dalle altre regioni, perché funziona».

Che visione ha il governo?

All’indomani dell’annuncio del WTO di autorizzare gli Stati Uniti a imporre dazi aggiuntivi sui prodotti europei e in un momento politico cruciale per l’economia del nostro Paese, è intervenuta alla giornata di Confagricoltura Teresa Bellanova, Ministro delle Politiche Agricole ed Ambientali. A lei si chiede: come costruiremo una visione verso il futuro? «Abbiamo la necessità di uscire dall’emergenza – è la risposta – ed avere un programma sul quale misurare le nostre capacità di azione, in una fase in cui il “rispetto” deve andare a chiudere le lacerazioni, il depauperamento dei rapporti umani. Noi dobbiamo decidere se vogliamo essere il settore che rappresenta il cambiamento, la battaglia va fatta su temi e su questioni concrete: agire con proposte operative da mettere nella legge di bilancio, costruendo nei territori una sensibilità diversa. Quando dico vado in Europa a ritessere un rapporto con gli altri partner europei insieme a questo Stato, affermando che non si devono tagliare risorse al bilancio e che la Pac deve servire per semplificare la vita di questo settore, voglio andare con la forza della società e degli agricoltori. Affrontando anche i temi complicati risolveremo qualcosa. Si ha il dovere di essere coraggiosi, non azzardati ma, di prendere decisioni anche affinando proposte che già ci sono. Dove riscontreremo delle criticità o delle letture diverse si farà lo sforzo di venirci incontro. Detto questo, non è che bisogna annullare le autonomie ma confrontarci per sapere perché si decide in un modo o nell’altro: questo lo chiamo “rispetto”. Non continuiamo a ragionare per massimi sistemi, investiamo nella ricerca e nella scienza per questo settore, rispettando chi si impegna per renderlo più innovativo, soprattutto attraverso i giovani. Ma come li portiamo i giovani in un settore che non produce reddito? Con la ricerca: dobbiamo fare un grande lavoro mettendo in piedi una consulta per monitorare i cambiamenti climatici con tutti i rappresentanti della filiera agricola ed i grandi enti, soprattutto quelli pubblici, senza pensare di appaltarla alle multinazionali. Partiamo dai punti di eccellenza cercando di far marciare l’Italia unita. Ho da poco inviato una lettera alla Commissione Europea ed al Commissario Hogan per il ruolo che ancora ha e che andrà a svolgere, dove chiedo che parta immediatamente un fondo anti-dazi, poiché ci troviamo di fronte ad una scelta sciagurata dell’amministrazione americana ma, non abbiamo intenzione di scontrarci in questa vicenda perché a pagarne il conto sarebbero sempre gli agricoltori, per questo, mettiamo in campo la diplomazia. Una scelta sbagliata verso questo settore e verso i cittadini americani va combattuta costruendo un’alleanza con i consumatori sia qui che negli Stati Uniti, i prodotti che coltiviamo sono alla base della dieta mediterranea e se arrivano sulle tavole dei cittadini americani è tutto di guadagnato anche per loro. I consumatori sono la nostra via, cerchiamo di far comprendere che un prodotto a poco prezzo non è sinonimo di qualità e di salute.. qualcuno sta pagando il peso di quella scelta. Questo settore deve essere sempre meno assimilato alle emergenze e sempre di più a rigenerare il territorio e permettere alle persone di vivere con il sorriso in un ambiente sano».

Urge una strategia nazionale

«Iniziamo a mangiare di più italiano e bere meno americano, è meglio per tutti – dichiara infine Massimiliano Giansanti, Presidente nazionale Confagricoltura -. Nella mia prima relazione del 2017, mi ero dato cinque obiettivi tra cui ricordo: lavoro, ambiente, salute. In una sfida ormai mondiale, non c’è più un modello agricolo vincente, il “made in Italy” può trainare fino ad un certo punto. Dentro questo percorso, si è parlato troppo di emergenze. Con il Senatore Centinaio eravamo arrivati alla convocazione del tavolo di strategia per l’agricoltura italiana, poiché se non sviluppiamo un piano nazionale comune, continueremo ad avere venti regioni che fanno da sé o non fanno in alcuni casi e, diventa impossibile raggiungere l’obiettivo, ovvero valorizzare le nostre eccellenze. L’ultimo progetto di strategia fu fatto nel 1974 dal Ministro Giovanni Marcora, da lì in avanti solo logiche urgenziali, in maniera non programmatica. In questo scenario di mercato globale o si redige un modello agricolo o alla lunga la partita la perderemo. E per definire un modello partiamo anche avvantaggiati, abbiamo tre valori fondamentali che vanno sdoganati: la terra, che piaccia o non piaccia l’agricoltura si fa con la terra non in laboratorio; la famiglia: gli agricoltori sono generazioni di famiglie (almeno tre, è il ruolo fondamentale che diversifica la capacità di essere sostenibile; il reddito, sostenibile sì ma, non mentre il brasiliano di turno diventa produttivo. Dentro quel progetto ci dovranno essere quattro parole d’ordine: produttività, a fronte di una superficie coltivabile che diminuisce; competitività, il sistema di costi non è allineato con il sistema europeo (rivedere la fiscalità); semplificazione, totale distonia tra la vita reale che qualcuno immagina gli agricoltori dovrebbero fare; sostenibilità, dobbiamo giocare una partita fondamentale. La tecnologia dopo la meccanica e la chimica, rappresenta la terza rivoluzione in agricoltura e ci accompagnerà in questo percorso». Autore: Martina Fasani

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