Questo sarà l’anno della riforma. Quella della Pac post 2020. Abbiamo chiesto a Flavio Barozzi, Presidente Società Agraria di Lombardia, quali crede che, al termine della discussione, saranno le principali novità: « Sul fronte PAC, dopo la complicata costituzione della Commissione Europea – è la sua risposta-, esiste al momento una sola certezza: l’attuale regime sarà formalmente prorogato di un anno e la futura PAC non partirà prima del 2022. Ma già dal 2021 dovrebbe entrare in funzione un “regime transitorio” tutto da verificare. Sul piano “quantitativo” sembra confermato che la nuova PAC sarà basata su un sistema di pagamenti diretti solo concettualmente simile a quello attuale. In realtà pare scontato che il livello dei pagamenti diretti che oggi è differenziato in funzione di “titoli” basati sulla storia produttiva di ogni singola azienda sarà più o meno rapidamente uniformato verso un valore uguale per tutti nell’ambito di uno specifico territorio attraverso meccanismi di “convergenza”».
L’incognità rinazionalizzazione
Secondo l’agronomo lomellino, bisognerà soprattutto capire «se dal negoziato (sia a livello europeo che nazionale, attraverso gli spazi di “rinazionalizzazione” concessi dall’elaborazione di Piani Strategici Nazionali) usciranno meccanismi di convergenza “hard” oppure “soft”. In ogni caso sembra corretto ipotizzare che l’importo del futuro “pagamento di base per la sostenibilità” in Italia dovrebbe collocarsi tra 200 e 250 euro per ettaro. Se saranno adottati meccanismi di convergenza “hard” si potrebbe arrivare a questo valore su tutto il territorio nazionale già dal 2022. Se invece dovessero essere adottati meccanismi più “soft” l’importo dei titoli potrebbe subire variazioni più lente, graduali e magari differenziate su base di “regionalizzazioni” tutte da definire. In ogni caso per le aziende agricole che disponevano di “titoli” alti (come in genere quelle zootecniche) o medio-alti (come le aziende risicole, che di norma oggi dispongono di “titoli” di importo compreso tra 350 e 450 euro per ettaro) si assisterà ad una ulteriore “dieta dimagrante” pari al 40-50% degli attuali pagamenti. Bisognerà inoltre vedere quali saranno le regole, i vincoli e le eventuali opportunità legate ad altri pagamenti quali quelli del cosiddetto “ecoschema” che sostituirà l’attuale “greening”. Idem per i pagamenti “accoppiati” a specifici settori produttivi che potrebbero essere rinnovati».
Le novità
Tuttavia la parte più delicata della partita pare si giochi sul piano “qualitativo”, cioè sulle nuove norme per la cosiddetta “condizionalità”, per gli “ecoschemi”, per i nuovi PSR, e così via nell’ottica di una PAC sempre meno politica economica e sempre più “ambientale” secondo lo slogan del “green new deal”. Barozzi è d’accordo: «Su questo fronte potrebbero emergere obblighi, divieti e limitazioni tali da rendere tecnicamente ed economicamente non sostenibile la produzione agricola in genere e quella risicola in particolare in alcune zone più o meno vaste. Alcuni osservatori sostengono (in maniera che è concettualmente corretta oggi come in passato, anche in presenza di PAC più “ricche”) che il vero imprenditore agricolo non deve concentrarsi sulla componente del suo reddito derivante da aiuti comunitari, ma sul mercato e sugli investimenti per l’innovazione che rappresentano la strada maestra per la competitività. Osservazioni certamente logiche e condivisibili, ma che potrebbero risultare troppo “ottimistiche” se dovesse prevalere la visione della PAC come strumento di indirizzo politico per una “svolta agroecologica” finalizzata alla “decrescita” sostenuta da alcuni settori dell’ambientalismo. In questo caso, orientamento al mercato ed investimenti per l’innovazione potrebbero risultare strade non percorribili. Per questo in alcuni ambienti (specialmente in alcune aree fortemente vocate alla produzione agricola, come la Pianura Padana) sembra prendere corpo una ipotesi di drastica “semplificazione” della PAC. In questa ottica la futura PAC dovrebbe comportare, accanto ad un pagamento di base uniforme (paragonabile ad un microscopico “reddito di cittadinanza”), una sola misura che unifichi “ecoschema” e PSR. Questa unica misura dovrebbe finanziare la riforestazione estensiva delle attuali aree agricole produttive accompagnata da un pagamento per il mancato reddito continuato nel tempo sul modello del vecchio Reg.2080 o dell’attuale mis. 8 del PSR. In questo modo si potrebbe garantire agli agricoltori convertiti al ruolo di boscaioli della collettività un “reddito di cittadinanza” più o meno accettabile ed al tempo stesso si realizzarebbe una gigantesca “compensazione ambientale” per la delocalizzazione dell’attività di produzione di alimenti in altre aree del pianeta, quali il Sud America, il Sud-Est Asiatico e certe zone dell’Africa ormai di proprietà cinese che presentano notevoli possibilità di sviluppo agricolo». Autore: Martina Fasani