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LA BIODIVERSITÀ CAMBIERÀ LE RISAIE

da | 12 Lug 2020 | NEWS

Una nuova strategia globale sulla biodiversità, per ripristinare il patrimonio biologico europeo entro il 2030: la Commissione Europea ha presentato, il 20 maggio scorso, i contenuti della “Strategia UE per la biodiversità”, definendo  nuovi impegni, obiettivi e linee guida di governance. Abbiamo chiesto agli esperti di questa materia in risicoltura cosa ne pensano.

Ricordiamo prima di tutto che le misure adottate fanno capo, in sintesi, ai seguenti ambiti di azione:

  • Fitofarmaci: l’obiettivo della Commissione UE è di ridurre del 50%, entro il 2030, il rischio per l’ambiente e la salute connesso ai fitofarmaci.
  • Fertilizzanti: si intende diminuire l’inquinamento di aria, suolo e acqua del 50% entro il 2030, riducendo di almeno il 20% l’impiego di fertilizzanti azotati e fosforici.
  • Agricoltura biologica: l’obiettivo prefissato è l’incremento dell’estensione delle superfici coltivate a biologico in Europa, fino al 25% della SAU totale.
  • Aumento delle Aree Natura 2000 (ZPS e SIC): la Commissione mira all’individuazione ed al riconoscimento di nuove aree protette, per aumentarne l’estensione.
  • Aumento delle aree ad alta biodiversità: andrà destinato il 10% della SAU ad aree ad alta naturalità quali siepi, filari, fasce inerbite, fossi, terreni a riposo, etc. 
  • PAC 2022-2027: nei futuri Piani Nazionali Strategici dovranno essere previste specifiche misure effettive e quantificabili per conseguire gli obiettivi suddetti.

Agli intervistati abbiamo chiesto come sono state recepite dal mondo agricolo le nuove direttive della Commissione. Quelle indicate dall’Europa sono direttive efficaci e realistiche o si si tratta piuttosto di obiettivi generici e arbitrari?

Scienza o ideologia?

Un punto di vista sulla “Strategia UE per la biodiversità”, la quale, tra gli altri provvedimenti, intende individuare e riconoscere nuove aree protette per aumentare del 30% entro il 2030 l’estensione delle Aree Natura 2000 (ZPS e SIC), viene da Flavio Barozzi, Presidente della Società Agraria di Lombardia: «E’ davvero difficile prevedere quali potranno essere gli impatti della “Strategia per la biodiversità” sul settore risicolo da oggi al 2030. Giova ricordare che il settore risicolo è già significativamente interessato dalla presenza di Aree Natura 2000 (SIC e ZPS) in cui sono già in atto studi, ricerche e progetti  dedicati: è di pochi giorni fa l’approvazione da parte di Regione Lombardia del progetto “Demofarm” che vede impegnati Provincia di Pavia, DISTA dell’Università di Pavia, Società Agraria di Lombardia e il Centro di Ricerca Agricola 2000 in attività di formazione e divulgazione, per il mantenimento di un’attività agricola realmente integrata con l’ambiente in queste aree. Nei prossimi mesi bisognerà capire se in questi territori si vorrà mantenere una presenza agricola realmente produttiva: questo comporterebbe un orientamento laico, pragmatico, fondato su autentici parametri tecnico-scientifici e non su ideologie, approccio che pare oggi molto difficile da portare avanti. Anche nel mondo agricolo ed in quello professionale ed accademico ci si domanda se sia più opportuno tentare di opporsi al generale declino dei valori del lavoro a favore dei disvalori all’assistenzialismo, come fanno generosamente alcuni coraggiosi, o adeguarsi prudentemente alla tendenza generale, magari cercando di ottenere  compensazioni, probabilmente effimere, attraverso contributi, aiuti e  indennità».

Zone Natura 2000 già vaste…

«In attesa di capire meglio come si circostanzierà nel concreto questa futura strategia – spiega Stefano Greppi, risicoltore e Presidente di Coldiretti Pavia – quello che possiamo dire di certo ad oggi è che le zone Natura 2000 sono estremamente vaste già adesso in provincia di Pavia, con pesanti vincoli per le aziende così come avviene anche nelle Zps. Purtroppo agli agricoltori che ricadono in queste zone non viene riconosciuto un prezzo maggiore per le loro produzioni, nonostante i maggiori impegni agronomici e di coltivazione che sono obbligati a rispettare. Coldiretti ha già più volte evidenziato come, purtroppo, tale situazione stia gravemente penalizzando le imprese agricole ricadenti in queste zone. Ricordiamoci che la prima sostenibilità è quella economica, e che da essa deriva anche quella ambientale». Su questo tema, Giovanni Daghetta, presidente di Cia Lombardia: «La comunicazione della Commissione del 20 maggio sulla biodiversità e sulla strategia From Farm to Fork, strettamente collegata alla conclusione attesa della riforma PAC, presenta, per il settore agricolo in generale e per il riso in particolare, aspetti positivi ed aspetti negativi. Iniziamo dal bicchiere mezzo pieno: è previsto un aumento delle risorse a favore del settore, c’è una forte spinta alla ricerca in ordine a soluzioni scientifiche meno impattanti sull’ambiente, si prevede una grande attenzione ad un sistema alimentare più sostenibile e corretto per il cittadino-consumatore. Traspare la volontà di non lasciare indietro nessuno. Questi chiaramente sono obiettivi fortemente condivisibili ai quali il mondo agricolo non può in nessun modo sottrarsi». La Commissione, d’altro canto, mira anche a ridurre drasticamente gli input di fertilizzanti e fitofarmaci e portare al 25% la SAU europea, richiedendo anche che sia destinato il 10% della SAU ad aree ad alta naturalità quali siepi, filari, fasce inerbite, fossi, terreni a riposo.  Queste aree sono, in sostanza, quelle a Focus Ecologico (AFE o EFA) del greening, che attualmente rappresentano almeno il 5% della SAU aziendale. Ci si interroga su cosa cambierà in sostanza e su quali potranno essere le conseguenze dirette di questo provvedimento. Continua Daghetta, su questo tema: «Dobbiamo rilevare che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, appare arduo produrre di più a prezzi bassi, dimezzando gli input chimici nei prossimi dieci anni o lasciando più acqua nei fiumi per il deflusso ecologico, senza nessun accenno allo sviluppo delle più moderne biotecnologie. Il tutto considerando poi che la crisi legata al Covid – 19 ci ha insegnato come sia necessario prevedere anche riserve strategiche di cibo. Si tratta, per ora, di una linea di indirizzo che deve essere implementata con una serie di atti esecutivi legati anche alla riforma della PAC, il cui percorso legislativo è appena iniziato». Una Strategia che fa già parlare di sé, anche a livello internazionale: «Da quanto trapela da Bruxelles, è già in atto un primo scontro tra la Commissione Ambiente e la Commissione Agricoltura del Parlamento europeo e questo la dice lunga sulle difficoltà di conciliare obiettivi così importanti e fondamentali per la sopravvivenza stessa del genere umano con la dura realtà del quotidiano, che già vede l’agricoltura europea e italiana, in particolare, cimentarsi con la forte diminuzione degli input chimici e con lo sviluppo di tecniche agronomiche meno impattanti per le lavorazioni del suolo, come evidenziato anche nel corso della bella iniziativa delle CIA del nord Italia presso la Facoltà di Agraria di Milano, lo scorso febbraio».

L’opinione di chi fa biodiversità

Sul tema dei SIC e delle ZPS abbiamo raccolto anche il parere di Dino Massignani, dell’Azienda Agricola Riserva San Massimo di Gropello Cairoli (PV), Sito di Interesse Comunitario (SIC IT2080015) nel 2004 e successivamente Zona di Protezione Speciale (ZPS): «La nostra realtà, un unicum nel panorama risicolo italiano, ha basato la strategia di marketing sul valore aggiunto derivante dall’essere un’area naturale importante per biodiversità. La conformazione aziendale è per i due terzi non seminativa e per un terzo a seminativo, quindi si tratta di una realtà totalmente diversa dalle vicine aree risicole della Lomellina. Questo per noi ha comportato la gestione di un insieme di fauna selvatica, di specie vegetali e animali veramente importante e ciò ha indubbiamente portato ad avere dei danni sui raccolti ma anche un ritorno di immagine per il consumatore finale: quello che il mercato cerca sempre di più, infatti, è la trasparenza produttiva dell’azienda e il rispetto per l’ambiente, in cui un ruolo fondamentale giocano la strategia e anche una certa sensibilità, se si vuole dare una conformazione all’azienda a livello produttivo che non sia soltanto a riso, mais e soia». Continua Massignani: «È necessario anche cercare di diversificare il nostro prodotto da quello che viene importato: perché fare un prodotto di qualità se poi il mercato non lo riconosce? Nei fatti non esiste, per esempio, un progetto di filiera di aziende che operano in questi contesti. Il PSR attuale, in questo caso, non ha sicuramente aiutato le aziende che operano all’interno dei SIC e ZPS: operare all’interno di un area SIC significa, per esempio, che lo sfalcio dell’erba lungo i corsi d’acqua  è permesso su un lato un anno e sull’altro lato l’anno dopo. Abbiamo anche riscontrato problemi con il controllo delle superfici SAU: con 130 ettari aziendali, ho avuto una penalizzazione di 20 ettari perché le aree boscate creano ombreggiamento e quando si fa la foto aerea da satellite, questa non è perpendicolare al campo bensì leggermente traslata e il mappale finisce per non coincidere esattamente e ne risulta una perdita di superficie. Poi ci sono i sentieri ecologici e la volontà di creare delle fasce di rispetto nei pressi dei corsi d’acqua. Se l’azienda diventa parte di un SIC deve anche avvalersi di almeno due consulenti esterni per lo studio di incidenza e per la paesaggistica e la sovrintendenza dei beni, oltre a dover sostenere costi fissi legati per esempio ai canoni d’affitto e di approvvigionamento dai canali. Sono finiti i periodi di vacche grasse degli anni 70-80-90: oggi si fatica ad avere delle grosse marginalità e, se si fanno degli investimenti, questi si ammortizzano lentamente.  Quindi le aziende devono essere sicuramente affiancate. Alcune aziende  finiranno per subire l’inserimento in aree SIC, anche se si trovano sul perimetro dell’area, perché, con le loro pratiche agricole, potrebbero far variare la stabilità della biodiversità all’interno del SIC.  Sicuramente l’incremento del 30% dell’attuale superficie SIC fino al 2030 è un provvedimento importante. La Comunità Europea detta delle linee guida poi è competenza delle Regioni tradurle nella pratica, tutelare gli agricoltori e far sì che queste decisioni vadano a gravare il meno possibile sulle aziende che decidono o subiscono l’inserimento in queste aree. I fondi per questo ci sono. Inoltre, visto che la Comunità Europea ha dettato le linee guida, è necessario pensare a sostenere le aziende, magari diversificando le realtà e creando una mappatura di aree SIC ed aree boscate che facciano da aree polmone dove nessuno opera in senso agricolo».

Parla il mondo bio

Un’analisi del contesto risicolo biologico ci è stata invece fornita da Paolo Carnemolla, Segretario Generale FederBio: «Con circa 18.000 ettari di riso biologico certificato (dato SINAB 2018) l’Italia è leader indiscusso nella produzione di riso biologico in Ue. Attualmente, l’incidenza della superficie coltivata a riso biologico sul totale della superficie risicola nazionale è di circa l’8%, dunque per raggiungere l’obiettivo indicato dall’Ue è necessario, nel prossimo decennio, triplicare le coltivazioni biologiche attuali. Di fatto nell’ultimo decennio la superficie di riso biologico è raddoppiata, in linea con la continua e forte crescita del mercato, tutt’ora ancora coperto anche da importazioni di prodotto, in particolare dalla Romania». Continua Carnemolla: «È dunque ragionevole pensare che il solo incremento del mercato porterà comunque a una consistente conversione di altre risaie al biologico, ma non è probabilmente l’unico elemento su cui puntare per centrare un obiettivo di sviluppo così ambizioso. L’Ue ha già messo a disposizione anche del comparto risicolo biologico importanti risorse per la promozione sui mercati interni e dei Paesi Terzi che fino ad ora non sono state utilizzate». Carnemolla intravvede vantaggi per il comparto risiero, a livello di Politica Agricola Comune e delle sue declinazioni regionali: «Nella prossima PAC ci saranno ancor più spazio e attenzione per il settore biologico, che potrebbe entrare negli “ecoschemi” per diventare un pagamento “orizzontale” per tutti gli agricoltori biologici, dando così la possibilità ai PSR regionali di mirare e qualificare ancora di più il supporto al biologico. In ogni caso è certo che maggiori risorse della PAC verranno destinate al sostegno della conversione al biologico e ne potrà quindi beneficiare anche il comparto del riso. Lo stesso accadrà per le risorse Ue destinate alla ricerca e alla promozione sui mercati, già oggi ampiamente sotto utilizzate dal comparto riso biologico italiano». Altro elemento determinante su cui puntare per la crescita delle superfici a riso biologico, sarà la capacità di comprendere che la conversione al biologico, con un adeguato percorso di transizione dall’attuale coltivazione integrata, può essere una straordinaria occasione di riqualificazione ambientale e di certificazione territoriale: «La creazione di uno o più distretti del riso biologico nelle zone vocate», conclude Carnemolla, «potrà consentire una valorizzazione complessiva dei territori anche per una fruizione turistico/ricreativa e per dare un valore aggiunto, in termini di prezzo, a un prodotto altrimenti sempre più vittima di una competizione mercantile globale. Ritengo che solo la tipicità e la sostenibilità possano consentire la sopravvivenza del comparto riso in Italia. È, del resto, più facile affrontare determinati aspetti della produzione biologica a dimensione territoriale vasta, a cominciare dalla gestione delle contaminazioni delle acque e dai piani di rotazione in grado di alimentare altre filiere biologiche ad esempio quella della soia per la mangimistica biologica».

Farm to Fork sotto la lente

Come sappiamo, la Commissione ha adottato la “Strategia UE per la biodiversità” parallelamente a “Farm to Fork”, la raccolta di linee guida finalizzate a rendere più sostenibile il settore agroalimentare. Di particolare interesse, in questo senso, anche l’analisi “Farm to Fork- Un documento che non concilia i mezzi con i fini”, prodotto da Gabriele Fontana e Luigi Mariani (pubblicato al link http://www.agrarialombardia.it/wp-content/uploads/2020/06/Farm-to-Fork-Un-documento-che-non-concilia-i-mezzi-con-i-fini.pdf ). Il documento rileva nella strategia “Farm to Fork” varie inesattezze tecniche avulse da un’efficace valutazione di scenario e richiama l’attenzione sull’intensificazione sostenibile, più che mai necessaria a fronte di un sistema produttivo come quello agroalimentare europeo, complesso e articolato. Numerose sono anche, secondo l’analisi di Fontana e Mariani, le carenze nella documentazione e si rileva una generale latitanza del concetto di innovazione, che rischia di lasciare passare così sotto silenzio i recenti progressi della genetica vegetale, della sensoristica e della digitalizzazione ma anche e soprattutto dell’efficace modalità di trasferimento tecnologico tra ricerca pubblica e privata della quale l’Europa è depositaria. Troppe, inoltre, le aspettative sul biologico, che rischiano di giocare a favore di una sostenibilità di pura facciata, palesemente insostenibile secondo logiche di scala, di filiera e di pieno campo dove il biologico produce dal 20 al 70% in meno del convenzionale. Da ultimo va certamente affrontato l’aspetto della difesa fitosanitaria: se l’obiettivo della Commissione UE è di ridurre del 50% entro il 2030 il rischio per l’ambiente e la salute, va certamente considerato che anche la diminuzione dell’impatto ambientale delle pratiche fitosanitarie resta un risultato dell’innovazione e delle biotecnologie avanzate. Nel frattempo , fra il 2000 e il 2018, in Italia sono sensibilmente calati l’impiego e la vendita di prodotti fitosanitari. Riduzione che ha riguardato soprattutto i fungicidi (-22% di prodotto, -30% di principio attivo), seguiti da insetticidi e acaricidi (-21% di prodotto, -43% di principio attivo), erbicidi (-16% di prodotto, -20% di principio attivo). Un fenomeno nettamente in controtendenza rispetto alla situazione oltreconfine, che registra, nel quadriennio 2015-2018 rispetto al precedente (2011-2014), una crescita dell’impiego e delle vendite di prodotti sanitari in Germania e Spagna pari al 5% e in Francia pari al 10%, mentre solo l’Italia evidenzia una riduzione complessiva (-5%) delle vendite di prodotti fitosanitari. Autore: Milena Zarbà

La tabella che segue sintetizza alcuni dei principali obiettivi del Green Deal europeo e la rispettiva timeline

Intervento   Calendario indicativo
Proposta di revisione della direttiva sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi 2022
Riesame dell’iniziativa UE a favore degli impollinatori 2020
Esame dei piani strategici nazionali (obiettivi del Green Deal europeo e strategia “Dal produttore al consumatore”) 2020/2021
Raccomandazioni per ciascuno Stato membro riguardanti i nove obiettivi specifici della PAC, prima della presentazione delle proposte di piani strategici A partire dal 2020
Misure vole ad assicurare valori nazionali espliciti per gli obiettivi della strategia sulla biodiversità e della strategia “Dal produttore al consumatore” A partire dal 2020
Piano d’azione per l’agricoltura biologica per il periodo 2021-2026 2020
Proposta di revisione del regolamento relativo alla rete d’informazione contabile agricola 2022
Revisione della strategia tematica per la protezione del suolo 2021
Iniziativa dell’UE sul sequestro del carbonio nei suoli agrari 2022
Piano d’azione integrato di gestione dei nutrienti 2021

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