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RISO CONTRO DESERTO IN CALABRIA

da | 24 Ago 2020 | NEWS

Pnrr

È certamente conosciuta per il suo mare a quadretti la Pianura Padana, che da secoli è terra per eccellenza delle risaie. Eppure, in una regione dove di mare vero ce n’è in abbondanza, da più di vent’anni a questa parte il riso cresce forte e rigoglioso. Stiamo parlando dell’Azienda Agricola Terzeria, in Calabria, che si estende per ben 600 ettari tra la pianura Sibari e il Pollino, nei comuni di Francavilla Marittima e  Cassano allo Ionio. Donata nel 1935 dalla famiglia Rovitti, attraverso una fondazione, al Vescovo pro tempore della Diocesi, è attualmente presieduta, dal Vescovo Mons. Francesco Savino, mentre il responsabile tecnico dell’azienda, Benito Scazziota, ci ha descritto quali strategie si attuano in quella particolare terra.

Innanzitutto, i 600 ettari sono suddivisi tra ortaggi, cereali, foraggi e frutteti ed una parte boschiva, mentre solo 200 sono destinati alle risaie, con camere mediamente più piccole di un ettaro. In questi ultimi vent’anni – ci spiega l’agronomo Scazziota – la coltivazione del riso è passata da ordinaria ad ecosistemica. L’agricoltura è diventata, infatti, rappresentazione delle migliori tecniche agronomiche e colturali nel rispetto delle risorse naturali (suolo ed acqua), tale per cui vengono predilette lavorazioni idonee all’ambiente pedologico: mentre in alcuni campi è praticabile la minima lavorazione, in altri è preferibile l’aratura convenzionale, fatto salvo che non si proceda ad una profondità estrema. Infatti, la piana di Sibari è caratterizzata da una fortissima salinità del terreno, non dovuta alle infiltrazioni marine, ma causata dalle componenti chimico-fisiche del suolo. Per questo, anche durante l’aratura, è necessario stare attenti a non riportare in superficie un’eccessiva quantità di sale, da sempre nemico di qualsiasi coltura. Le qualità di riso seminate sono variate nel tempo. Nei primi anni Duemila – ci racconta l’agronomo –  sono state utilizzate varietà Indica e Japonica a taglia alta; tuttavia, poiché l’area geografica è caratterizzata da una forte componente ventosa, in pochi anni è stato preferito il riso più basso e, quindi, il Karnak. Sempre a causa del sale e della sua potente azione nella rizosfera, il rapporto q/ha è mediamente più basso a parità di varietà, anche se la resa della sostanza secca risulta maggiore (anche per via della pressione osmotica).

Le concimazioni risultano essere per lo più organiche, passando negli ultimi anni al digestato e al compostato certificato di qualità . Se necessario, possono essere effettuati anche i passaggi di concimazioni fogliari, stando però ben attenti a non superare le unità di azoto imposte dal Disciplinare della Regione Calabria. Le infestanti persistono anche in questi terreni, dove il pH decisamente basico (fino a 8.2) lascia semplicemente crescere una flora diversa da quella delle campagne settentrionali. Per questo, gli interventi indirizzati al  loro controllo non differiscono di molto da quelli tradizionali: sono stati utilizzati la falsa semina, il diserbo pre-emergenza e i classici fitofarmaci autorizzati. È fondamentale, in ogni caso, mantenere la sommersione totale delle camere, anche perché è solo in questo modo che si può fermare la risalita capillare della falda acquifera salata.

Pur essendo un’azienda che non teme la siccità, in quanto irrigata sia dai monti che dal consorzio di bonifica, il risparmio idrico è un punto chiave per i prossimi anni. Infatti,  nel Mezzogiorno sono già state sperimentate coltivazioni di riso irrigate per aspersione come il mais e (si pensa) dall’anno prossimo di poter organizzare gradualmente le risaie della Terzeria con l’irrigazione a goccia: «Abbiamo già realizzato una vasca di accumulo ed è in opera la costruzione della seconda». È certamente una tecnica all’avanguardia, necessaria per adattarsi al cambiamento della distribuzione idrica: le aziende, dal 2023, pagheranno i consorzi in base al volume e non più a ettaro/coltura. Si stanno già testando le varietà più idonee, considerando la necessità di adattamento al cambiamento climatico. Per di più, questa tecnica potrebbe anche evitare il manifestarsi di malattie fungine e parassitarie. «Le nostre risaie sono interessanti – conclude Scazziota – perché siamo alle spalle della riserva naturale foce del Crati e creano un corridoio verde (zona umida) verso la porta del Parco del Pollino; potenzialmente, potremmo raggiungere circa 4000 ettari in tutta la Piana di Sibari. La risicoltura meridionale non è assolutamente eroica, al contrario ha le sue caratteristiche e le sue validità, che la rendono funzionale alla difesa del territorio dal rischio desertificazione». Autore: Fabio Roncallo

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