Il quotidiano “La Repubblica”, cavalcando l’emergenza siccità, ha bollato la risicoltura italiana come grande dissipatrice di acqua, in base a luoghi comuni, senza conoscerla. Il titolo “3.400 litri d’acqua per produrre un chilo di riso” è del tutto errato, come hanno avuto modo di rilevare i consorzi irrigui di Novara e Vercelli in una nota congiunta. Torniamo sull’argomento per ricordare che misurare il “consumo” dell’acqua alla bocchetta d’ingresso senza valutarne il successivo percorso, è molto riduttivo; ecco perché non si comprende da dove arrivi il numero 3.400 citato dal quotidiano.
Altro dato: tutta l’acqua che entra in risaia è “bevuta” dal riso? Ovviamente no, anche se tutte le piante, per produrre alimenti, devono assorbire dal terreno una soluzione acquosa di sali minerali, e poi evaporare l’acqua trattenendo i sali per nutrirsi. Le piante che assorbono poca acqua si nutrono poco, crescono lentamente e producono poco. Per conoscere correttamente la quantità di acqua necessaria a produrre un kg di riso, si possono reperire in letteratura molte ricerche scientifiche (sottolineiamo scientifiche perché circolano anche molte pubblicazioni che poco o nulla hanno di scientifico). Ne citiamo una triennale, svolta pochi anni fa in collaborazione tra Ente Nazionale Risi ed Università di Torino in una risaia alle porte di Vercelli, con attrezzatura idonea a misurare l’acqua, oltre che d’ingresso, di scarico, e l’evapotraspirazione; per differenza si è misurata anche quella che si infiltra nelle falde. L’acqua “consumata” dal riso è stata di 1.190 litri per kg di riso lavorato. La rimanenza è stata scaricata dalla bocca di uscita, quindi riutilizzata più volte a valle, od infiltrata nel terreno. Anche quest’ultima è stata riutilizzata a valle, in parte riemergendo nei fontanili, oppure fluendo lentamente nel Po, a vantaggio dei terreni sottostanti. La realtà è quindi ben diversa da quella rappresentata nell’articolo del giornale.
Altro argomento: in questi tempi di siccità, si è levato un coro ad invocare la costruzione di invasi di accumulo dell’acqua, per non rimanere a secco. Al di là di problemi non trascurabili quali la dotazione finanziaria necessaria e la contrarietà delle popolazioni residenti in qualsiasi luogo si vogliano costruire gli invasi, esiste il problema economico, che riguarda la destinazione dell’acqua accumulata. L’utilizzo agricolo non può competere dal punto di vista economico con quello idroelettrico. Lasciamo ai lettori immaginare se l’acqua verrà rilasciata dagli invasi quando serve ai bisogni agricoli, oppure riservata ai momenti di massima richiesta dei consumi elettrici, quando il kwh spunta i prezzi più favorevoli.
Il giornale La Stampa di qualche giorno fa evidenziava come gli invasi della montagna piemontese fossero pieni fino all’orlo… L’adozione di sistemi irrigui alternativi alla sommersione nella risicoltura padana, al di là dei costi di impianto ed energetici necessari per l’irrigazione a goccia, superficiale od interrata, prevedrebbe l’eliminazione del gigantesco invaso, già esistente a costo e rischio zero, prodotto dall’attuale sistema irriguo. La sommersione avviene durante i mesi di Aprile e Maggio, quando la piovosità storicamente è massima ed avviene lo scioglimento delle nevi a bassa quota: quindi il valore dell’acqua, disponibile in abbondanza, è basso. Solo quando la superficie di semina in asciutta è eccessiva la sommersione viene dilazionata a Giugno, quando l’acqua in molte annate comincia a scarseggiare, quindi diventa preziosa. La sommersione crea dunque non uno spreco ma un accumulo di acqua, in parte visibile nelle risaie, ma in gran parte invisibile. La parte che si infiltra nel terreno fa innalzare le falde freatiche in modo molto significativo, ed un’ampia ricerca effettuata dall’Associazione Ovest Sesia con la direzione del prof. Mauro Greppi ha permesso di evidenziare la dimensione dell’invaso non visibile: 680 milioni di metri cubi nel solo territorio Ovest Sesia. Il grafico e la tabella pubblicati danno un’idea dell’importanza del fenomeno.Vista la situazione analoga di Est Sesia, non è difficile ipotizzare un invaso invisibile di oltre un miliardo di metri cubi, che nelle prossime settimane si svuoterà gradualmente nel Po, in un periodo nel quale l’acqua è solitamente preziosissima. Quante risorse, ammesso di trovare luoghi non ancora sfruttati, servirebbero per realizzare invasi di queste dimensioni? E perché cambiare metodo di irrigazione, rinunciando da un invaso del genere? Oltre a questo insostituibile vantaggio, altre caratteristiche quali l’elevato tasso di riutilizzo delle acque irrigue e degli scarichi civili, la consistente produzione di energia idroelettrica nei canali irrigui , l’utilità dei medesimi nello smaltire gli eccessi di acque piovane, dovrebbero imporre almeno qualche riflessione, prima di bollare come inefficiente l’attuale sistema irriguo. Autore: Giuseppe Sarasso.