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NEL RISO C’E’ IL SEGRETO DEL SAPORE

da | 27 Mar 2014 | NEWS, Riso in cucina

Di fronte a un risotto alla pescatora oppure alle fumanti arancine della festa di Sant’Agata non amiamo ammetterlo e neanche ricordarlo, ma i gusti, i profumi, tutte le sensazioni che quel piatto regala al nostro palato sono certamente il frutto dell’abilità di uno chef, e prima ancora di un produttore e di una tecnologia industriale che hanno concorso a produrre le materie prime, ma sono anche ed innanzi tutto figlie della chimica. Ad ogni sensazione corrisponde infatti l’effetto esercitato da una molecola sui nostri recettori sensoriali (nella foto piccola, la percezione dei gusti sulla lingua). E, quel che è più importante, ogni sensazione è riproducibile. Industrialmente riproducibile. Recentemente “La Chimica e l’Industria”, un periodico specializzato, ha pubblicato una serie di studi che evidenziano queste relazioni, svelando anche quello che si sta cercando di fare con il riso. Un lavoro serissimo, condotto da un pool di ricercatori delle Università di Milano e di Pavia, che apre nuove prospettive di utilizzo per un materiale di scarto, il farinaccio di riso, al centro degli studi di un pool di ricercatori che Risoitaliano ha intervistato.

La materia è complessa e bisogna partire dal soggetto della ricerca, che è l’umami, definito impropriamente “l’ultimo gusto” (gli altri sono dolce, salato, grasso, amaro e acido). Il termine vi dirà poco (o nulla), ma l’umami – che deriva dal giapponese “umai” ossia “delizioso” o “saporito” – rientra nelle nostre sensazioni quotidiane. Come si sa, il sapore è un fatto fisico (temperatura, consistenza, umidità, frizione del cibo), chimico (chiama in causa anche gusto e olfatto) e anche estetico, anche se è determinante la rilevazione effettuata dalle cellule specializzate che sono presenti nella cavità orale, le cellule gustative, sulle quali sono presenti recettori sensibili alle molecole contenute negli alimenti. Il gusto umami, come ricorda nella pubblicazione citata Gabriella Morini dell’Università di Pollenzo, è quello “associato al sale sodico degli amminoacidi L-glutammato (MSG) e L-aspartato (e a pochi altri composti)” ed “è forse il gusto che più differenzia l’essere umano dagli altri animali a noi molto vicini nella scala evolutiva, in quanto sensibili quantità di compostiumami vengono rilasciate solo in seguito ad idrolisi proteica in carni fermentate e stagionate, a lunghe cotture, o in alimenti, quali i formaggi e altre preparazioni ottenute per fermentazione, quindi in alimenti prettamente umani”. Se poi vogliamo riferirci alla relazione tra gusto e nutrizione, come le sostanze dolci (ad es. i carboidrati) che sono gradite dall’uomo costituiscono alimenti che rappresentano per noi un’importante fonte energetica, anche l’umami è importante perché si collega a proteine fondamentali per il metabolismo. Ciò nonostante l’umami rappresenta una scoperta relativamente recente. Come spiega sulla rivista citata Giovanna Speranza (Università di Milano, nella foto piccola) e gli altri ricercatori che stanno studiando l’uso del farinaccio di riso, l’umami è stato scoperto nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore dell’Imperial University di Tokyo, il quale aveva percepito un gusto mai identificato prima e distinto da qualsiasi combinazione degli altri quattro in alcuni cibi tipici giapponesi, in particolare nel brodo preparato con tonno essiccato (katsuobushi) e con alghe marine (kombu). Ikeda definì questa nuova sensazione gustativa il “quinto sapore”, chiamandolo umami, termine derivato dalla parola giapponese umai e iniziò a isolare le sostanze che lo provocano. “La prima sostanza umami identificata, da parte dello stesso Ikeda, fu il glutammato monosodico (MSG); seguirono alcuni 5′-ribonucleotidi, in particolare l’inosina-5′-monofosfato (IMP), nel 1913 da parte di Kodama, un allievo di Ikeda e, molto più recentemente, nel 1960, la guanosina-5′-monofosfato (GMP) da parte di Kuninaka. I composti umami, e in particolare il MSG, sono dotati di un proprio gusto caratteristico che di per sé non è particolarmente piacevole e che peraltro poche persone conoscono. Tuttavia hanno una caratteristica che è alla base della loro importanza applicativa: anche al di sotto della soglia di percezione, senza quindi conferire al cibo un gusto specifico, sono in grado di potenziare gli effetti sensoriali (flavor) di altre componenti dell’alimento, con conseguente aumento dell’appetibilità e del gradimento del cibo stesso. Da qui la denominazione di “esaltatore (o potenziatore) di aroma” (flavor enhancer) attribuita all’MSG e ad altri composti dotati di analoghe proprietà organolettiche”. I ricercatori annotano anche che “la proprietà più interessante di MSG e dei 5′-ribonucleotidi è senza dubbio la loro capacità di interagire sinergicamente. È stato infatti osservato che la soglia di percezione di MSG è marcatamente ridotta in presenza di IMP o GMP e viceversa”. Questo sinergismo è di estrema rilevanza pratica perché consente di diminuire sensibilmente le concentrazioni di esaltatori di sapore da aggiungere ai cibi per ottenere l’effetto desiderato, con una sostanziale riduzione (25-30%) dei costi di produzione e senza conseguenze sulle proprietà organolettiche dell’alimento.

Per questa ragione, nei prodotti commerciali sono generalmente usati in combinazione. “Il cambiamento delle abitudini alimentari, sempre più rivolte al consumo di piatti pronti, ha contribuito alla crescita della produzione di MSG e IMP/GMP registrata negli ultimi anni e stimata, rispettivamente, in 2,1 milioni e 22 mila tonnellate nel 2010 – spiegano i ricercatori -. Leader del mercato è Ajinomoto Co., Inc. l’azienda giapponese che per prima, nel 1909, commercializzò il glutammato con il nome di “essenza del sapore” e che successivamente ne assunse il nome. “Creare condimenti buoni ed economici per trasformare un piatto semplice e nutriente in una prelibatezza” fu la motivazione che spinse Ikeda a mettere in commercio il monosodio glutammato. Poiché l’umami è prodotto da un insieme di sostanze che interagiscono sinergicamente, per capire se, e in che quantità, l’umami è presente nei cibi è necessario esaminare i livelli sia di MSG, sia di IMP e GMP. Mentre l’acido inosinico si trova essenzialmente negli alimenti di origine animale, l’acido guanilico è molto abbondante nei vegetali. Un altro ribonucleotide molto diffuso nei cibi è l’acido adenilico (adenosina 5′-monofosfato, AMP) che però ha un’attività umami molto meno intensa di IMP e GMP. Prodotti particolarmente umami sono le carni, il prosciutto, il riccio di mare, lo sgombro, il tonno essiccato, le vongole. I livelli di glutammato e in generale degli amminoacidi liberi aumentano notevolmente in seguito alla maturazione o alla stagionatura degli alimenti come conseguenza dell’idrolisi delle proteine. Ad esempio, nel parmigiano reggiano, uno dei formaggi a più lunga stagionatura, il contenuto di glutammato è particolarmente alto. Nel latte materno il contenuto di MSG risulta fino a 10 volte superiore a quello del latte bovino. Tra gli alimenti di origine vegetale, il contenuto di acido glutammico libero è elevato negli asparagi, nelle patate e nei piselli, ma soprattutto nel pomodoro, che può essere considerato il vegetale più umami della dieta mediterranea”.

Le ricerche di nuovi composti umami si sono particolarmente intensificate negli ultimi anni per via dell’aura negativa che circonda il MSG, ritenuto (a torto, per gli esperti) responsabile di una serie di reazioni allergiche e intolleranze collettivamente note come “sindrome da ristorante cinese”. Alcuni composti umami recentemente identificati sono la teanina e la teogallina, responsabili del gusto umami del cosiddetto “mat-cha”, un thè verde giapponese; l'(S)-morelide, rivelatosi un composto chiave nella definizione del profilo aromatico dei funghi morchella; l’acido N -(1-deossi-D-fructo-1-il)-L-glutammico, presente nei pomodori essiccati in quantità significative, l’alapiridaina,. Anche numerosi peptidi quali, ad esempio, alcuni di- e tri-peptidi contenenti acido glutammico (Glu-Asp, Glu-Ser, Glu-Glu, Glu-Thr e Asp-Glu-Ser, Glu-Asp-Asn, Glu-Gly-Ser, Glu-Gln-Gln, Ser-GluGlu) oppure acido piroglutammico (pGlu-Pro-Ser, pGlu-Pro, pGluPro-Glu, pGlu-Pro-Gln), sono caratterizzati da attività umami più o meno intensa che viene significativamente incrementata in presenza di IMP e/o GMP. Alcuni di questi peptidi (le componenti delle proteine) sono stati isolati da lisati di proteine animali (per esempio di pollo o di pesce), ma la maggior parte deriva dai cosiddetti idrolizzati di proteine vegetali, comunemente indicati con l’acronimo HVP (HydrolyzedVegetableProteins). Ed è proprio qui che entra in gioco il riso. (La seconda parte del servizio sarà pubblicata domani) (27.03.14)

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