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DRONI O SENSORI?

da | 27 Lug 2015 | NEWS, Tecnica

Legge Bilancio

sarassoMaria Teresa Manuelli, in un articolo comparso su Il Sole 24 ore del 24 luglio 2015,  ha decretato tout court la fine dei droni, che a suo parere verranno sostituiti dai sensori. Gli articoli di stampa passano dall’entusiasmo più sfrenato, quando descrivono i droni come oggetti tutto fare, al disfattismo completo. La realtà è sempre difficile da rappresentare mediante semplificazioni eccessive.

Cosa si intende per “drone”? Un mezzo aereo ad ala fissa o mobile, pilotato manualmente da terra oppure in automatico tramite un dispositivo Gps che gli faccia seguire le traiettorie predeterminate con un computer od un tablet. Ve ne sono di tutti i tipi, dimensioni, velocità ed ovviamente prezzi, ed il settore è in piena evoluzione.

A cosa servono questi aeromobili in agricoltura? A sorvegliare le coltivazioni senza percorrere chilometri a piedi, o senza invaderle con mezzi di trasporto terrestri che, oltre ad essere lenti, fanno sempre qualche danno. Per raccogliere informazioni, il drone può trasportare una telecamera, o una fotocamera  multispettrale, o una nutrita serie di sensori (ottici, termici, ecc.) che servono per ricavare delle precise informazioni sulle necessità immediate delle colture. I droni possono (ma sarebbe meglio dire potrebbero) anche essere utilizzati per eseguire trattamenti. In Giappone, piccoli elicotteri equipaggiati di motore a scoppio, serbatoio e barra irroratrice e guida Gps automatica sono usati in risicoltura per applicare diserbanti e fungicidi. Hanno dimensioni e portate adatte ai loro minuscoli appezzamenti. Questi apparecchi vengono anche esportati, con molte restrizioni per alcuni Paesi considerati non amici, nel timore che possano essere utilizzati per scopi militari.

Purtroppo, ma giustamente,  per il timore di usi impropri da parte di malintenzionati, anche in Italia è stata ultimamente emanata  una legislazione molto restrittiva sull’utilizzo professionale dei droni. Da noi si preferiscono quadricotteri od esacotteri a batteria, che per ora hanno piccolissime portate ed autonomia fino a 30 minuti; il loro uso nella distribuzione per ora è limitato a prodotti autorizzati nella lotta biologica che funzionino a  bassissimo dosaggio. Vengono più di frequente usati come strumenti non invasivi e poco costosi per sorvolare le coltivazioni  ottenendo, tramite appositi sensori, preziose informazioni.

Ovviamente, se possiamo ottenere le stesse informazioni montando il sensore su di una trattrice che esegue le operazioni colturali, il drone é superfluo. Potremmo altresì sostituirlo con una rete di sensori posizionati sul terreno e collegati col computer di casa, sempre se costassero di meno, della qual cosa ci permettiamo di dubitare. Se invece dobbiamo  scegliere tra le seguenti opzioni: fare a meno delle informazioni, andare a calpestare la coltura con una trattrice od un quad o qualche altro mezzo di trasporto e sorvolare la coltura rapidamente e senza fare danno, pensiamo che l’ultima soluzione resti quella più economica.

Detto questo, dato che esiste una ampia disponibilità di “UAV”, ( Unmanned Aerial Vehicles, veicoli aerei senza pilota, come li definisce la lingua inglese) occorre valutare i rapporti prezzi/prestazioni e scegliere il mezzo più adatto al compito che gli si vuole assegnare. Compito tutto sommato semplice. Più complicato scegliere il sensore adatto, verificare che dia informazioni corrette, ed ancora più complicato trasformare le informazioni in azioni adeguate: come regolo lo spandiconcime? A quali dosi? Devo intervenire o no con l’irrigazione? Con quali volumi di acqua?  Devo eseguire o no un trattamento insetticida? O fungicida? Su questi argomenti, servirebbe una attività di ricerca pubblica, che oggi non sembra affatto intensa: per ora, ci accontentiamo degli accattivanti discorsi che i  politici  proclamano a fiere e convegni. E degli articoli dei giornali popolari, spesso anche di quelli economici, che volano alto… troppo alto. Autore: Giuseppe Sarasso (28.07.2015)

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