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C’E’ UN BRUSONE NEL RISOTTO?

da | 21 Gen 2015 | NEWS, Tecnica

E’ il flagello delle risaie italiane. Non è l’unica fitopatologia ma è sicuramente la più temuta di questi ultimi anni. Forse perché per combattere il brusone, provocato da un fungo, è necessario intervenire preventivamente con principi attivi che, in taluni casi, vengono autorizzati in deroga, all’ultimo momento. L’Ente Nazionale Risi sta studiando la Pyricularia Oryzae da tempo e Simone Silvestri, ricercatore dell’Ente, ci racconta cosa ha scoperto studiando l’impatto della malattia sulle diverse varietà, nell’ambito delle prove condotte nel 2014. Un’intervista che conferma un dato inquietante, alla luce delle scelte colturali che si stanno compiendo proprio in queste settimane: le varietà più suscettibili a questo genere di patologia sono proprio quei risi lunghi A da interno che – ma giova ricordare che questo la ricerca dell’Ente Risi non lo dice – sarebbero i più gettonati nelle semine 2015.

Dottor Silvestri, iniziamo con l’illustrare in che cosa consiste questa ricerca…

Il brusone è la più grave patologia fungina del riso a distribuzione mondiale. La malattia è particolarmente diffusa in Asia, Europa, Centro e Sud America ma è stata segnalata anche in regioni risicole australiane e nord americane. La sua gravità in Italia risulta maggiore nei terreni più sciolti, carenti di sostanza organica, bibuli, mal concimati e comunque in presenza di varietà sensibili. La presenza in Italia sul 25% della superficie risicola di varietà tradizionali altamente suscettibili dall’alto valore commerciale, quali Carnaroli, Arborio, ecc., rende questa malattia degenerativa di continua e attuale importanza. L’introduzione di fungicidi specifici ha permesso in passato di recuperare alcune varietà che stavano per scomparire e oggi di ridurre l’incidenza della malattia anche nei terreni e negli areali più a rischio. Ne consegue che, in un ambito di riduzione dei costi di produzione e limitazioni sempre più stringenti di carattere ambientale sull’utilizzo di prodotti fungicidi,  risulti di strategica importanza avere informazioni in merito al comportamento delle varietà coltivate nei confronti dell’incidenza al brusone. Ciò permette di poter decidere, conoscendo le caratteristiche dei terreni, quale varietà coltivare, oppure, a seconda dell’andamento epidemiologico della malattia, se eseguire o meno il trattamento fungicida o ancora il suo posizionamento più appropriato.

CampoBrusoneVarietaleÈ con questa finalità che si è voluto realizzare una sperimentazione specifica nei terreni del Centro Ricerche sul Riso di Castello d’Agogna (PV) atta appunto a studiare le modalità d’infezione e la diversa incidenza alla Piriculariosi delle varietà coltivate in Italia. Ciò ha permesso di categorizzare queste ultime suddividendole per tipologia di granello, nei confronti della epidemiologia della malattia rilevata attraverso l’utilizzo del captaspore messo a disposizione dall’Università degli Studi di Pavia e posizionato nelle vicinanze del campo sperimentale dove si è svolta la prova. Questa sperimentazione denominata “Brusone varietale” iniziata con la campagna 2014 avrà durata almeno triennale, durante questi anni si arricchirà delle nuove varietà iscritte anno per anno. Nel corso della scorsa campagna sono state esaminate le 102 varietà certificate il Italia nel 2013 (catalogo CRA-SCS 2013), queste varietà sono state seminate in un’unica camera a blocchi randomizzati tramite la tecnica della semina interrata a file. Ogni 10 parcelle cioè ogni 10 varietà da testare, ognuna di 3,6 m2, si è seminata una parcella delle stesse dimensioni con varietà resistente al brusone avente due geni di resistenza (progetto RISOVAL 2010), le file seminate con le varietà da analizzare sono state alternate a file totalmente seminate con una varietà altamente suscettibile alla Piriculariosi. Sia le parcelle con varietà resistente, sia le file di varietà altamente suscettibile hanno lo scopo di facilitare i successivi rilievi di incidenza della malattia inoltre, queste ultime hanno l’importante funzione di inoculo. Sulle diverse varietà sono stati eseguiti rilievi atti a valutare l’incidenza della malattia sia sulle foglie sia sul colletto; il primo rilievo è stato svolto al manifestarsi dei primi segni conclamati delle due sintomatologie (foglia-collo) tipiche della Piriculariosi sulla varietà altamente suscettibile. I rilievi sono stati svolti utilizzando la scala IRRI (International Rice Research Institute) che permette di convertire il danno da brusone in valori numerici ottenendo per ogni varietà l’andamento di incidenza della malattia nell’annata di coltivazione. Importante ribadire che la camera in cui si è svolta questa sperimentazione è stata soggetta alle  normali pratiche di coltivazione, trattasi di trattamenti erbicidi, gestione dell’acqua e concimazione (130 kg N ha-1)ad esclusione dei trattamenti fungicidi che non sono stati effettuati.

Alla luce delle conoscenze attuali, quali sono le varietà di riso coltivate in Italia che sono più suscettibili alla piriculariosi?

Essendo una sperimentazione di durata triennale e considerando che ogni annata l’epidemiologia da brusone ha un comportamento particolare è incompleto parlare di risultati per ogni singola varietà. Dal primo anno di sperimentazione considerando la sintomatologia al collo (quella che dà maggiormente l’idea di perdita di prodotto) emerge che il 45% del panorama varietale italiano ha evidenziato lesioni al collo inferiori al 5%, il 23 % ha fatto registrare danni dal 5 al 10 % mentre il 22% delle varietà ha evidenziato lesioni al collo superiori all’11%, danni che in pieno campo  avrebbero causato consistenti perdite di risone. Altro dato che emerge da questo primo anno di sperimentazione è la considerevole differenza di 2,5 punti (scala IRRI) di lesioni al collo registrati tra le varietà a granello Lungo A da interno (le più suscettibili) e le varietà Lungo B le più resistenti. Ottengono valori simili di incidenza di lesioni al collo invece gli altri tre gruppi merceologici (Medio, Lungo A da parboiled e Comune). Valutando l’andamento delle lesioni fogliari e al collo nel corso della stagione emerge in maniera piuttosto costante in tutte le varietà come il periodo in cui si è registrato il maggior aumento delle lesioni  sia stato quello dal 25 agosto al 1 settembre, ciò favorito dalle condizioni metereologiche favorevoli allo sviluppo del fungo.

Quali contromisure deve prendere chi le coltiva?

Parlando di contromisure per evitare o limitare la comparsa del brusone nelle varietà più suscettibili occorre sottolineare come molti sono i fattori che risultano favorirne la comparsa.  Fra le cause principali sono l’eccesso di azoto o i suoi squilibri, valori di umidità relativa dell’aria superiori all’85-89% ed elevati valori medi di temperatura. Poiché il processo di infezione, cioè la germinazione delle spore e la loro penetrazione, avviene in una notte, il manifestarsi di tali condizioni insieme alla presenza di organi bagnati per 10-12 ore sono più che sufficienti per la comparsa della malattia.

Detto questo, occorre innanzitutto conoscere bene i propri terreni e la zona di coltivazione perché è noto come le condizioni ottimali per l’infezione sono i terreni sabbiosi o limosi e la presenza di sostanze tossiche nel terreno (acidi grassi, acido solfidrico,..), quindi, nel caso di terreni con queste caratteristiche è opportuno optare per varietà meno suscettibili in quanto la metodologia più semplice per il controllo della malattia è la scelta di varietà resistenti. Occorre inoltre prestare molta attenzione nella distribuzione dei concimi soprattutto degli azotati distribuendoli frazionati e in maniera omogenea, evitando il più possibile sovrapposizioni che potrebbero essere la causa di focolai d’infezione. Una maggiore disponibilità di azoto soprattutto in fase vegetativa significa maggior rigoglio vegetativo, maggior presenza di foglie portando a una scarsa ventilazione all’interno della coltura. Oltre a questo c’è da dire che eccessive concimazioni azotate rendono i tessuti delle piante più suscettibili all’infezione: la cuticola infatti è meno spessa, c’è una ridotta silicizzazione delle cellule epidermiche, minor contenuto di emicellulosa e lignina che predispongono le stesse all’attacco del patogeno riducendo i fattori di  resistenza

Altro fattore importante è provvedere a semine accurate in modo da evitare densità eccessive, la densità di semina, porta alla presenza di piante troppo fitte che comporta l’instaurarsi di condizioni favorevoli alla diffusione delle crittogame riducendo la ventilazione. Dall’altra l’eccessiva fittezza porta ad un’eccessiva competizione tra le piante, le quali ricevendo quantità minori di luce e di elementi nutritivi risulteranno più deboli e quindi più suscettibili alle infezioni.

Oggi il brusone è combattuto prevalentemente con principi attivi autorizzati in deroga, di anno in anno. Ci sono alternative efficaci a quei prodotti?

Si è visto negli ultimi anni come in alcune particolari circostanze il solo utilizzo dei prodotti fungicidi non abbia dato risultati totalmente soddisfacenti sul controllo del brusone. Per ovviare a ciò nei prossimi anni bisognerà impostare la lotta al brusone con un approccio integrato. In quanto oltre a prestare molta attenzione alle operazioni di semina e concimazione come indicato poc’anzi, occorrerà eseguire i trattamenti fungicidi supportati dalle informazioni che emergeranno dagli studi varietali come quello appena descritto e dalle future campagne di monitoraggio brusone.  Infatti, per quanto riguarda i trattamenti fungicidi occorre modularli secondo la varietà coltivata e agire tempestivamente, ciò è possibile esclusivamente con costanti sopraluoghi in campo nel momento di maggior rischio d’infezione, magari supportati dal servizio di assistenza tecnica di Ente Nazionale Risi. Infatti, altre sperimentazioni condotte in questi anni al Centro Ricerche di Castello d’Agogna hanno evidenziato come il corretto posizionamento del trattamento rispetto allo sviluppo della coltura e rispetto all’epidemiologia del fungo sia di cruciale importanza per l’efficacia dello stesso e il contenimento della malattia. Altro fattore da non sottovalutare è l’utilizzo di un adeguato volume d’irrorazione (400 l/ha) atto a garantire una omogenea bagnatura della vegetazione, fattore imprescindibile per la buona riuscita del trattamento. (17.01.15)

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