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MA CONVIENE COLTIVARE BABY RICE ?

da | 30 Gen 2018 | NEWS

Dopo un lungo periodo di ottimi risultati italiani nella produzione di riso per baby food, recenti restrizioni sui limiti di residui di alcune sostanze hanno segnato una battuta d’arresto per il nostro Paese. La sfida è adesso quella di riguadagnare un settore di mercato molto importante e conveniente per gli agricoltori, pur rispettando i vincoli imposti dai Regolamenti europei. In particolare, per il riso da baby food il Reg UE 1006/2015 ha imposto che i valori di Arsenico inorganico non superino gli 0,10 mg/kg mentre il Reg UE 488/2014 ha fissato limiti per il Cadmio a 0,04 mg/kg per la stessa categoria di prodotto  dal 1 gennaio 2015. Anche sul contenuto di micotossine sono stati posti limiti più severi per ciascuna tipologia: 0,1 µg/kg per l’aflatossina B1, 0,5µg/kg per la ocratossina A, 20 µg/kg per lo zearalenone e 200 µg/kg per il deossinivalenolo (Regolamento UE 165/2010 e Regolamento CE 1881/2006).Attenersi a questi vincoli ottenendo buone produzioni redditizie dipende da oculate scelte tecniche, che il progetto Babyrice sta provando a mettere a punto.

Il progetto “Babyrice”, finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito della Misura 16 (operazione 16.2.01) del PSR, ha messo insieme le competenze dell’Ente Risi e di due Università, la Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e l’Università degli Studi di Torino e la disponibilità di tre aziende agricole della Lomellina: Azienda Agricola Daghetta, capofila del progetto, Società Agricola Braggio e Carnevale Miacca e l’Azienda Agricola Gamalerio.

L’obiettivo del progetto è quello di individuare le migliori tecniche agronomiche per riuscire a produrre secondo gli standard qualitativi richiesti per il baby food, conducendo prove diverse da comparare tra loro per diversi parametri: gestione del suolo e delle concimazioni, gestione dell’acqua e delle asciutte, diserbi, epoca di raccolta e gestione post raccolta del risone. Gli agricoltori hanno quindi messo a disposizione le loro risaie per le prove, mentre l’Università di Torino conduce analisi su suolo e acqua e l’Università di Piacenza quelle sui contenuti di micotossine del prodotto finito. L’Ente Risi ha il ruolo di coordinatore del progetto.

«Il primo requisito da rispettare – Spiega Giovanni Daghetta, titolare dell’Azienda Agricola Daghetta nonché Presidente della CIA Regionale –  è quello di tenere i limiti di residui di diserbanti e insetticidi a 0,01 ppm, mentre per i residui di metalli pesanti (As e Cd) i limiti imposti sono di circa la metà rispetto a quelli previsti per il classico riso da consumo. La difficoltà in cui ci si imbatte è che in Italia il contenuto di Arsenico nei terreni e nella soluzione circolante è di per sé maggiore rispetto alla concorrenza spagnola».

Durante il 2017 sono state condotte diverse prove in campo. Per quanto riguarda gli effetti della concimazione sui residui di metalli pesanti, alcune parcelle sono state fertilizzate rispettivamente con calce, con solfato di ammonio e con urea. Nel 2018 si intende fare anche prove di concimazioni organiche e di uso delle zeoliti. «Per adesso non siamo ancora in grado di dare una risposta esatta sugli effetti della concimazione sulla riduzione dei residui di arsenico e cadmio, ma quello che veramente fa la differenza è la gestione dell’asciutta in prefioritura – continua il Dott. Daghetta-. Questa tecnica ha lo scopo di ridurre il contenuto di arsenico nel riso, comportando tuttavia il rischio dell’aumento del cadmio, che viene contenuto proprio dalla sommersione. Individuando il momento esatto in cui effettuare l’asciutta, si ottiene una riduzione dell’arsenico senza aumento di cadmio, e questo dipende anche dalla diversa tessitura dei suoli. Suoli sciolti drenano più rapidamente rispetto ai suoli argillosi. Ci siamo resi conto che nel 2017 avremmo dovuto anticipare il momento dell’asciutta sui nostri terreni, e continueremo a fare prove e valutazioni per centrare il momento esatto. Il progetto doveva durare 2 anni, ma abbiamo chiesto ed ottenuto una proroga fino alla fine della stagione risicola 2019».

Per quanto riguarda le varietà di riso, nel 2017 sono state seminate parcelle con alcuni tipi di riso tondo (Selenio, Centauro e due varietà Clearfield, Sole e Terra) e alcune varietà di riso indica (CL26, Sirio, l’ibrido XL745 e Mare). Presso l’Azienda Agricola Daghetta in particolare, sono stati seminati i tipi indica, dedicando meno di 1 ha a ciascuna varietà con buoni risultati.

Per quanto riguarda i rischi di contaminazione da micotossine, Daghetta non mostra seria preoccupazione. «Gli agricoltori sanno già che la raccolta del risone deve essere tempestiva per scongiurare questo rischio. Per il baby food, il cliente acquista il risone subito, ma poi viene a ritirarlo al bisogno, per cui è importante prevedere una refrigerazione in silos. Il risone viene insilato caldo dopo l’essicazione, ma poi nei silos le temperature raggiungono circa 9-10 °C. Questa accortezza in realtà serve soprattutto per impedire gli attacchi di alcuni insetti parassiti, oltre che il proliferare di micotossine» dichiara.

Daghetta si esprime anche sulla convenienza economica: «Si tratta di una produzione redditizia, perché si spunta un prezzo maggiore del 10-12% rispetto a quello che si ottiene normalmente, con il vantaggio che in questo caso il prezzo stabilito non subisce oscillazioni tra l’inizio e la fine dell’annata risicola. Anche le rese, pur con le restrizioni e le accortezze da adottare in campo, sono analoghe a quelle delle normali produzioni, anche perché si scelgono varietà produttive».

I primi risultati del progetto Babyrice verranno presentati il 7 febbraio a partire dalle 9.30 presso il Centro di Ricerche sul Riso del Castello d’Agogna (PV). Dopo i saluti istituzionali dell’Ass. Agricoltura Regione Lombardia Gianni Fava, e del Presidente dell’Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà, si susseguiranno interventi dell’Ente Risi e delle due Università, per arrivare infine alle conclusioni delle aziende agricole coinvolte. (Scarica la locandina) Autore: Sara Petrucci, dottore agronomo

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