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IL FARM TO FORK SBARCA IN PIEMONTE

da | 11 Giu 2023 | Non solo riso

Farm to fork

Recentemente la Regione Piemonte pubblica una relazione sullo stato dell’ambiente. Sono considerati molti parametri: povertà, nutrizione e agricoltura sostenibile, salute, istruzione, uguaglianza di genere, acqua, energia, crescita e occupazione, innovazione, equità, città sostenibili, produzione sostenibili, ecosistema terrestre, società pacifiche. Se ne ricava che, a confronto delle altre regioni italiane, siamo nella media, con eccellenze in acqua e nutrizione e agricoltura sostenibile, nelle quali raggiungiamo il 4° posto.

IL BIOLOGICO

La carenza riguarda la percentuale di coltivazione biologica, ancora lontana dal 25% prevista dal “from farm to fork” della Commissione Europea, a suo tempo commentata:  https://www.risoitaliano.eu/farm-to-fork-devastera-il-mondo/. Evidentemente la Regione è ancora convinta di questa strategia, anche se al Parlamento Europeo il PPE inizia a sollevare dei dubbi (Informatore Agrario del 6 giugno, pag.9), e se le statistiche sull’impiego piemontese dei fitofarmaci dimostrano una riduzione a partire dal 2015.

LE CONTRADDIZIONI: GLI URBANI INQUINANO DI PIU’

Negli scorsi 20 aprile e 25 maggio la Regione Piemonte, che su richiesta della Commissione avrebbe dovuto disegnare entro il 2022 una strategia agricola per ridurre le emissioni dei gas climalteranti, convoca riunioni per raccogliere suggerimenti operativi al fine di ottemperare alla richiesta.

Premettiamo che la riduzione dell’emissione dei gas climalteranti per limitare il riscaldamento globale viene spinta dall’Europa e pochi altri stati, meno di un miliardo di persone, rispetto agli altri sette miliardi che non se ne curano, quindi non potrà dare alcun risultato sensibile. Inoltre, in Piemonte i cittadini inurbati coprono il 5% della superficie ed emettono il 70% dei gas. Pertanto, è ben difficile immaginare che tormentare gli agricoltori con limitazioni possa dare qualche risultato percepibile.

In Italia l’agricoltura ed allevamento emettono il 7% del totale dei gas serra. Qui non è considerata la quantità di CO2 che i vegetali coltivati assorbono mediante la fotosintesi clorofilliana, ampiamente maggiore di quella emessa per le operazioni di produzione delle derrate alimentari.

LE CONTRADDIZIONI: LE EMISSIONI

Pare che in Regione nessuno sappia o voglia calcolare la quantità assorbita, anche se lo si potrebbe fare agevolmente.  La sostanza organica accumulata nel terreno agricolo può aumentare se si praticano lavorazioni ridotte, minime o nulle. Quindi si cattura carbonio, che in teoria potrebbe essere messo sul mercato dei “carbon credits”, per recuperare dei denari. Ma in Italia ad oggi è possibile farlo sulle foreste, non nei campi.

I partecipanti alle due giornate organizzate dalla Regione sono stati suddivisi tra le diverse coltivazioni: per il riso erano presenti una ventina di persone. Di queste solo quattro sono rappresentanti della risicoltura, dei quali due risicoltori biologici, oltre ad un rappresentante di Ente Risi ed allo scrivente come rappresentante di Confagricoltura. Gli altri erano digiuni di risicoltura, ma molto interessati a combattere il riscaldamento globale. Quali provvedimenti serviranno per ottenere risultati?

NON CI PUO’ ESSER UNA NORMA UNICA

Come premessa, i quattro risicoli hanno concordemente precisato che la variabilità dei terreni e dei microclimi richiedono normative puntiformi, quindi eventuali norme generali per tutta la regione sarebbero controproducenti.

Durante il dibattito, sono comparse molte contraddizioni. Per esempio, operare per incrementare la sostanza organica riducendo le lavorazioni aiuta a catturare la CO2, ma la fermentazione della medesima causa una maggiore produzione di metano. Alcune sperimentazioni del passato indicano che superare il 4% di sostanza organica nel terreno crea eccessive fermentazioni, dannose anche alla pianta di riso.

LA PROPOSTA DEI RISICOLTORI SU FITOFARMACI E CONCIMI

Altro problema è la riduzione delle quantità dei fitofarmaci e fertilizzanti “chimici” da somministrare al riso. Sappiamo che la Commissione vuole ridurre del 62% i fitofarmaci e del 20% i fertilizzanti entro il 2030. La proposta dei risicoltori è di incentivare economicamente l’acquisto di attrezzature di precisione (oggi 4.0) per la distribuzione. Rispetto a quelle tradizionali permettono di raggiungere la riduzione del 20% dei fertilizzanti distribuendoli con dosi precise e senza sovrapposizioni. Il risultato si può raggiungere anche con i fitofarmaci. Tuttavia, in questo caso l’obiettivo del 62% rimane irraggiungibile.

Chi scrive ha provocatoriamente chiesto ai presenti se fossero disponibili, in caso di polmonite, a ridurre le dosi degli antibiotici del 62%; nessuno ha aderito. Un risicoltore biologico propone di seminare miscele di varietà di riso, per ottenere più resilienza nella produttività. Peccato che le leggi sulla commercializzazione del risone limitino la presenza di oltre il 10% di granelle di varietà diverse.

IRRIGAZIONE: I CONSORZI USANO GIA LE FALDE

Parlando di irrigazione, qualcuno propone di sfruttare le acque della falda superficiale. L’idea è buona, ma si è dovuto spiegare a tutti che i consorzi irrigui lo fanno da sempre, e il sistema funziona a patto di sommergere i terreni in primavera, sfruttando lo scioglimento delle nevi a bassa quota, e la piovosità primaverile, accumulando acqua nelle falde, poi recuperata e riutilizzata dalle risorgive. I risultati migliori si ottengono iniziando la sommersione a partire dai terreni siti a livelli più alti. Si auspica che questa strategia venga fatta propria dalla Regione. Per modificare le tecniche di coltivazione senza penalizzare la produzione occorre controllare a priori tutte le conseguenze, in modo da evitare le contraddizioni che possono facilmente insorgere. Dalle ideologie alla realtà vi è un ampio spazio, difficile da coprire. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo

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