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SVENTATO L’ASSALTO AL CARNAROLI

da | 10 Lug 2017 | NEWS

Sembrava aspettarselo, Paolo Carrà, che a qualcuno venisse in mente di registrare il marchio Carnaroli. Il primo giugno del 2015, cioè un anno prima che il signor Carnaroli (stesso cognome della nota varietà di riso) tentasse di farlo, il presidente dell’Ente Risi, conversando con Dario Bressanini e Beatrice Mautino, nel libro “Contro Natura” dichiarava «Negli Stati Uniti hanno brevettato il marchio “Arborio Rice” che non contiene ne Arborio ne Volano, ma una loro varietà. A me, per esempio, piacerebbe che l’Ente Nazionale Risi brevettasse il “Carnaroli Rice”, un riso da risotti pensato per il mercato mondiale» (LEGGI L’ARTICOLO).

Quel libro l’hanno letto in tanti, compreso tale signor Carnaroli, che qualche mese dopo ha preso carta e penna e ha chiesto all’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale di registrare la denominazione “Carnaroli” per una lunga serie di prodotti e servizi. L’Ente Risi voleva mettere al sicuro il principe dei risi da risotto? Lui doveva essere più rapido e, baciato dalla fortuna di chiamarsi come la pregiatissima cariosside, ha chiesto di trasformare il nome in marchio. Una registrazione che, se fosse riuscita, avrebbe ridisegnato il mercato del riso e, nota bene, del risone. Eh già, perché il Carnaroli (Marco) voleva riservarsi tutti i diritti sul Carnaroli (il marchio), in modo tale che nessun altro avrebbe potuto commercializzare con quella denominazione né un chicco né una galletta. Gli è andata male, perché l’Ente Nazionale Risi si è opposto alla registrazione e, come ha annunciato in queste ore, «ha impedito a un privato di registrare a livello europeo il marchio “Carnaroli”» che «avrebbe permesso di vendere con questo nome risone, riso lavorato, prodotti trasformati e servizi di ristorazione».

«La complessa battaglia legale – ricostruisce una nota – è scoppiata nel dicembre del 2016, quando tale Signor Carnaroli ha depositato all’ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale una domanda di registrazione della denominazione “Carnaroli” per una molteplicità di prodotti e servizi (riso, torte di riso, snack a base di riso, cereali in chicchi non lavorati, riso non lavorato, servizi di ristorazione). L’Ente Nazionale Risi si è opposto al benestare dell’ufficio europeo e l’esame è stato riaperto, concludendosi il 20 giugno 2017 con il respingimento della domanda e dei ricorsi presentati dal signor Carnaroli. In particolare, i legali dell’Ente Risi hanno dimostrato che il nome “Carnaroli” è descrittivo e non distintivo: per questo non può essere registrato, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, RMUE. Inoltre, è stato sottolineato, un marchio registrato “Carnaroli” sarebbe ingannevole e creerebbe un ingiustificato privilegio per un singolo soggetto».

L’Ente Risi suona la grancassa e ha tutti i motivi per farlo: se il signor Carnaroli avesse avuto successo, nessuno – dal più piccolo risicoltore della Baraggia al dottor Scotti – avrebbe potuto più usare il nome “Carnaroli” per vendere quel riso, ma soprattutto sarebbe andata a pallino una strategia pluriennale tesa a difendere l’impostazione della nuova legge sul mercato interno, perché sarebbe saltata la “griglia” e tutto il complesso meccanismo delle varietà tradizionali che ha la sua architrave proprio nel Carnaroli. Non solo: nelle scatole del signor Carnaroli sarebbe finito riso di diverse varietà vendute sotto il marchio “Carnaroli”. Un guazzabuglio. Non solo: un danno enorme per l’industria risiera, perché sarebbero andati in fumo anni di investimenti pubblicitari, ma un danno anche per il mercato dei risoni che, privo della varietà-gioiello che rappresenta un punto di riferimento, sarebbe sprofondato per sempre ai livelli del tondo. Ecco perché oggi Carrà esulta: «Se non avessimo vigilato e non ci fossimo opposti – racconta -, un privato si sarebbe appropriato del lavoro di valorizzazione portato avanti dal 1974 dalla filiera italiana e sarebbe stata compromessa la stessa legge sul mercato interno, che il governo ha concluso e che adesso è all’esame delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Stato Regioni. Abbiamo sventato lo “scippo legale” di una varietà su cui si è investito tanto e che è sinonimo di risotto».

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