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LA ROTAZIONE NON FA MIRACOLI

da | 24 Apr 2020 | Tecnica

E’ appena stato emanato il decreto ministeriale sulle rotazioni, che modifica il decreto del 18 luglio (scarica il DMRotazioni) e prima di affrontare il tema del riso biologico – stiamo attendendo risposte certe sul ruolo del sovescio – vediamo qual è la situazione delle rotazioni e degli avvicendamenti colturali nel nostro settore, con l’aiuto di alcuni tecnici e risicoltori. Come sappiamo, infatti, rotazioni, avvicendamenti e colture intercalari aumentano la fertilità del terreno oltre che agevolare il controllo delle malerbe e la difesa dai patogeni. Il primo punto da approfondire è la remuneratività. La coltivazione del riso è tra i processi più specializzati e meccanizzati dell’agricoltura italiana. Pertanto, oggi la rotazione resta una proposta spiegata dai testi di agronomia e dagli esperti che solo sporadicamente trova applicazione nell’azienda risicola. Sebbene non mancano le prove sperimentali che hanno dimostrato i numerosi vantaggi della rotazione anche in risicoltura, forse il management fatica a recepire un ulteriore aumento della complessità aziendale a fronte di un’incerta redditività. Tuttavia, le crescenti difficoltà che i risicoltori stanno riscontrando nel controllo delle malerbe e nella difesa dai patogeni potrebbero far diventare più frequente questa pratica. La rotazione aiuta controllo e difesa in quanto non fa “specializzare” le malerbe e i parassiti i quali possono essere combattuti con metodi e molecole diverse. (Conosci Avanza?)

Ragionare sul medio termine

«Purtroppo agronomia ed economia in questo caso non vanno d’accordo – ci spiega Dante Boieri, tecnico di Novara -. Se pensiamo ad avvicendamenti riso – mais o riso – frumento la redditività non è affatto assicurata. Mais e frumento hanno necessità di terreni arieggiati e di conseguenza la coltivazione su ex risaia comporta spesso raccolti quantitativamente e qualitativamente modesti. Gli avvicendamenti e le rotazioni in risicoltura possono essere concepiti come investimento a medio termine al fine di migliorare la gestione aziendale degli anni successivi, soprattutto rispetto alle minori energie spese contro malerbe e patogeni; ma questo è possibile solo se la redditività del riso si mantiene buona. Quale imprenditore investirebbe con redditività scarse o appena accettabili?»

Scelte diverse

«Bisogna precisare – spiega Vincenzo Antonino, tecnico di Carisio (Vercelli) – che l’avvicendamento e la rotazione non sono la stessa cosa. La rotazione è un ciclo costante in cui le stesse colture si alternano sul campo a intervalli di tempo uguali. L’avvicendamento è una successione di colture diverse a intervalli di tempo non uguali. Tra le colture usate per gli avvicendamenti in risicoltura una certa diffusione la sta avendo la soia in quanto è una specie miglioratrice in grado di fissare l’azoto. A rotazione e avvicendamento si affiancano le colture intercalari che nell’ambito della stessa annata agraria succedono alla coltura principale: è il caso degli erbai e dei foraggi che talvolta possono essere impiegati per il sovescio. I benefici sono innegabili da un punto di vista agronomico, ma il dover gestire colture diverse può obbligare il risicoltore a ricorrere al contoterzista complicando la gestione aziendale».

Occhio alla tessitura

Un confronto tra Lombardia e Piemonte arriva dall’esperienza di Piero Actis, ispettore assicurazione grandine e avversità atmosferiche nel Vercellese: «La tessitura del terreno è determinante nella riuscita di una rotazione. I terreni lombardi, mediamente più sciolti, si prestano meglio alla coltivazione di mais o di soia anche dopo riso. In questi terreni più arieggiati le rese di mais e di soia possono raggiungere valori importanti e, infatti, le rotazioni sono più diffuse nel pavese, nel lodigiano e nel milanese. Viceversa, i terreni forti del vercellese e del novarese non consentono la coltivazione di mais dopo riso: al fine di ottenere rese accettabili è preferibile passare da una coltura intermedia come l’orzo. Di recente stiamo osservando nelle Cyperaceae sempre più frequenti fenomeni di resistenze agli erbicidi e questo, dove possibile, potrebbe aumentare il ricorso alle rotazioni».

Veccia portentosa

Il sovescio pare attrarre la simpatia di diversi risicoltori: «La veccia è seminata poco dopo la trebbiatura – ci spiega Claudio Melano, risicoltore novarese – . Prima delle semine dell’anno successivo si pratica il sovescio così da interrare la totalità della biomassa generatesi nel frattempo. Tra ottobre e aprile la veccia può arrivare fino ai 40-50 cm di altezza. Oltre all’apporto di azoto che stimo in circa 30 – 40 unità per ettaro, si ha un importante incremento di sostanza organica. La concimazione è completata dall’aggiunta di calciocianamide durante il sovescio e un ulteriore integrazione di azoto e potassio minerale avviene durante l’accestimento». (Conosci Avanza?)

Il seme sardo non ruota

«La coltivazione del riso da seme richiede una particolare pulizia che viene raggiunta con la mondatura – spiega Carlo Ferrari, risicoltore di Oristano -. In questo senso non sentiamo nessuna necessità di mettere a punto delle rotazioni. Il clima particolarmente arieggiato ci mette al riparo da attacchi funginei, sebbene negli ultimi anni abbiamo notato lievi attacchi di brusone: malattia del tutto assente dall’agroecosistema sardo fino a pochissimo tempo fa. Abbiamo osservato effetti molto positivi per quanto riguarda le colture intercalari da sovescio quali il trifoglio alessandrino che arricchiscono i terreni più poveri». Autore: Andrea Bucci

LA DIETA BONTA’

Crescita della produzione agro-alimentare lombarda di qualit… e attenzione alla salute dei cittadini: questo Š il binomio che sta alla base del progetto "Qualit… alimentare e salute umana", realizzato da Unioncamere Lombardia e da Villa Beretta, centro di riabilitazione dell’Ospedale Valduce di Como, in collaborazione con i consorzi dei prodotti tipici lombardi. Un progetto alla cui base c’Š anche il riso italiano, che diventa un ingrediente importante della "dieta bont… lombarda".

RISOTTO DA GRANDI CHEF

Mangiano riso gli chef italiani dei migliori ristoranti del mondo. E cos nel cortile di Casa Brina, a Cocconato, si Š chiusa a risotto e barbera, la scorsa settimana, la visita in Piemonte degli chef italiani nel mondo, in Italia per il Forum del Gruppo Virtuale Cuochi Italiani, invitato dalla Regione Piemonte. Erano ottanta gli chef provenienti da tutto il mondo e l’ultima sera del congresso si sono dati addio brindando con Barbera e gustando prelibati risotti come la vercellese Panissa.

IL RISO DEL CARCERATO

Il risotto del carcerato Š alla panna. Lo abbiamo scoperto nel libro "Ricette di evasione" (Cucina & Vini Editrice, www.cucinaevini.it) a cura di Clara Ippolito e Daniela Basti. E’ un’affascinante raccolta di storie di vita, di sogni e di cucina, nate intorno a un progetto realizzato nella Casa di Reclusione Maschile di Rebibbia. Dalla ricerca emerge che nelle cucine del carcere abbonda la panna, l’ingrediente prediletto del risotto "dietro le sbarre". Vediamo come lo si prepara a Rebibbia.

MARCHESI ®RISOTTA¯ LA SCALA

Risotto firmato da Gualtiero Marchesi e filetto di bue farcito al fois gras per i seicento invitati alla cena di gala che seguir… la "prima" della Scala a SantïAmbrogio. Questïanno, al termine dellïIdomeneo di Mozart diretto da Daniel Harding, regista Luc Bondy, gli artisti saranno festeggiati a Palazzo Reale, nella sala delle Cariatidi e in quella vicina delle Otto Colonne, dagli ospiti della Scala e del Comune di Milano. E ancora una volta il nostro cereale sar… il "protagonista".

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