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MANCA ALL’APPELLO IL 30% DEL SEME CERTIFICATO

da | 19 Gen 2017 | NEWS

Il declino inizia quando la moneta cattiva scaccia quella buona. Il principio è di Thomas Gresham, il mercante e banchiere inglese che lo formulò nel XVI secolo, ma si adatta perfettamente alla realtà della risicoltura dove si fa un gran parlare di qualità ma poi il prodotto nazionale viene schiacciato dai prezzi del riso d’importazione e la reazione immediata degli agricoltori è quella di abbandonare il seme certificato per tagliare una voce di costo. Anche quest’anno il reimpiego della semente crescerà. A giudicare dal recentissimo rapporto CREA (SCARICA IL DOCUMENTO INTEGRALE), ci si attende un incremento intorno al 30%, ovviamente con forti oscillazioni da varietà a varietà, in base al prezzo della semente corrispondente. Facciamo quattro conti: se nella primavera 2016 sono stati seminati in italia 357mila quintali di seme certificato e sono stati seminati 234mila ettari, vuole dire che è stato usato 1,53 quintali di semente per ogni ettaro, cioè molta meno della quantità necessaria, che si pone poco al di sotto dei 2 quintali ad ettaro, 1,8 ad essere precisi precisi. L’autore del rapporto, Luigi Tamborini, responsabile della sede di Vercelli del Crea, conferma: «Ad un calcolo di massima manca all’appello da un quarto a un terzo del seme certificato, anche se poi, a guardar bene, ci sono differenze importanti tra le diverse varietà». Importanti davvero: ad esempio, il Gladio è davvero un riso portentoso se ne sono bastati 0,83 quintali ad ettaro per produrre il più diffuso degli indica, che in questo momento è anche una delle varietà più remunerative, nel profondo rosso del mercato dei risoni. Che dire poi delle scatole di Carnaroli che si venderanno nei prossimi mesi? i consumatori non sanno quanto sia potente il seme di questa varietà: quest’anno sono bastati 1,45 quintali a ettaro di semente certificata per l’intera produzione del re dei risotti, quella varietà, ricordiamocelo, che tra qualche mese potrà fregiarsi, se passerà la legge sul mercato interno, dell’appellativo di Carnaroli Classico, cioè purissimo figlio di seme Carnaroli. E non Karnak né Carnise, sia chiaro. «Formalmente, il reimpiego è legale – ammette Tamborini -, nessuno chiede di esibire le fatture d’acquisto della semente e l’aiuto Pac non è condizionato al seme che si usa. Si dovrebbero pagare le royalties ai costitutori ma, se si riutilizza un seme che non è tutelato dalla privativa comunitaria, anche questo obbligo diventa puramente morale, in quanto vedere riconosciuti tali diritti è veramente arduo». In altre parole, la tendenza al reimpiego proseguirà, fatto salvo per quei produttori che aderiscano a misure Psr che vincolano l’erogazione di contributi all’uso di semente certificata.

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