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LA MIA CHIMICA E’ DIFFERENTE

da | 15 Mar 2017 | Non solo riso

Sabatini

I dati dell’Onu sui pesticidi vanno letti bene, come fa Agrofarma: è vero, infatti, che i pesticidi usati in agricoltura causano 200.000 morti all’anno nel mondo, quasi tutti nei paesi in via di sviluppo, e non sono necessari per garantire l’aumento della produzione agricola per una popolazione in crescita, come sostiene un rapporto degli inviati speciali dell’Onu per il Diritto al cibo, Hilal Elver, e per le Sostanze tossiche, Baskut Tuncak, presentato al Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Una denuncia che è stata presa malissimo dal mondo agricolo, ma che in realtà porta acqua al mulino dei risicoltori e adesso vi spieghiamo perché.

Il rapporto delle Nazioni Unite dice questo: «I pesticidi sono responsabili per un numero stimato di 200.000 decessi all’anno per avvelenamento acuto, il 99% dei quali avvengono nei paesi in via di sviluppo, ma si ritiene comunemente che l’agricoltura intensiva industriale, che si basa pesantemente sui pesticidi, sia necessaria per aumentare i raccolti per sfamare una popolazione mondiale in crescita. Nei 50 anni passati, la popolazione globale è più che raddoppiata, mentre la terra arabile disponibile è aumentata solo del 10%». I pesticidi causano danni ormai dimostrati scientificamente, secondo l’Onu: inquinano l’ambiente, uccidono o fanno ammalare le persone, destabilizzano l’ecosistema alterando il rapporto fra prede e predatori, limitano la biodiversità. Ma le aziende del settore agricolo e dei pesticidi hanno adottato «una negazione sistematica della grandezza del danno portato da queste sostanze chimiche, e tecniche di marketing aggressive e non etiche rimangono incontrastate». Per l’Onu «un trattato generale che regoli i pesticidi altamente pericolosi non esiste. Eppure, senza, o con un uso minimo di sostanze chimiche tossiche, è possibile produrre cibo nutriente e più sano, senza inquinare o esaurire le risorse ambientali».

Osservazioni che possono essere lette come una “caccia alle streghe” oppure, come fa Agrofarma, come la prova che bisogna riallineare gli obblighi mondiali. In merito al rapporto degli inviati speciali dell’Onu per il Diritto al cibo, presentato al Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, Agrofarma afferma di «condividere l’importanza dell’allarme che è stato lanciato, auspicando che serva a stimolare azioni concrete e sinergiche fra le Istituzioni Internazionali, gli Stati nazionali e le relative filiere agricole. L’Associazione riconosce che se la realtà europea e quella italiana rappresentano casi d’eccellenza in tema di utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari, purtroppo nei Paesi in via di sviluppo la situazione è decisamente diversa». Il punto, quindi, è questo: «La formazione degli agricoltori è un elemento fondamentale e imprescindibile per un’agricoltura sostenibile, che in alcuni paesi non viene tenuto in debita considerazione creando i presupposti per i casi di avvelenamento citati nel rapporto. È necessario un investimento educativo in questa direzione per favorire in tutti i Paesi l’adozione di buone pratiche agricole e modalità di utilizzo corretto e consapevole degli agrofarmaci che comprendano misure di mitigazione del rischio per gli operatori e per l’ambiente e, di riflesso, per i consumatori. È falso sostenere che l’agricoltura intensiva, anche attraverso l’uso della chimica, non contribuisca a incrementare la produzione: il fatto che nei 50 anni passati la popolazione globale sia più che raddoppiata, mentre la terra arabile disponibile è aumentata solo del 10%, è l’ennesima riprova di come un aumento di produzione ci sia stato, e sia dovuto anche ai mezzi tecnici che hanno reso possibile l’ottimizzazione delle rese agricole, difendendo le colture da malattie e parassiti.

Per Andrea Barella, Presidente di Agrofarma, «l’esempio virtuoso dell’agricoltura italiana ed europea conferma che l’agricoltura integrata, che prevede l’utilizzo della chimica, può essere pienamente sostenibile; il problema non sono dunque i prodotti fitosanitari in sé stessi, ma il loro corretto utilizzo».

In altre parole, c’è uso ed uso dei pesticidi, come aveva spiegato la stessa Agrofarma in occasione della pubblicazione da parte di Legambiente del dossier “Stop pesticidi 2017″ evidenziando come il rapporto confermi gli alti standard qualitativi dei prodotti italiani, frutto di un sistema di limiti e controlli estremamente stringenti ed efficaci che garantiscono il più alto livello mondiale di sicurezza per i consumatori. Solo l’1,2% dei campioni analizzati, infatti, è risultato irregolare, contro una media europea che si attesta attorno al 2,9% (rapporto EFSA 2016). Lo stesso Ministero della Salute italiano, nel suo ultimo rapporto ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari (anno 2016), riporta un dato estremamente positivo, rilevando solo lo 0,3% di campioni irregolari su quasi 9000 analizzati. 

Per contro, come evidenziato recentemente da Coldiretti, «nell’anno appena trascorso, è stato registrato un aumento record del 21% delle importazioni che ha fatto scattare ben 12 allerte sanitarie da contaminazione per il riso e i prodotti a base di riso da Paesi extracomunitari in Europa secondo i dati del sistema di allarme rapido comunitario (RASFF)». I dati dunque parlano chiaro: c’è una chimica che inquina il prodotto d’importazione e c’è una produzione interna che invece, rispettando le etichette degli agrofarmaci, offre al consumatore un prodotto senza residui. La cosa importante è comprendere questi dati.

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