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GLI AMERICANI DIFENDONO IL LORO RISO

da | 13 Mar 2017 | Internazionale

L’Europa agricola non è l’unica ad invocare una stretta sulle regole delle esportazioni di riso asiatico nel proprio territorio di competenza: negli Stati Uniti lo fa anche il quotidiano agricolo on line deltafarmpress.com, appellandosi direttamente al presidente Donald Trump, chiedendogli quindi di proteggere di più il riso a stelle e strisce. Il sito di informazione, che si occupa di agricoltura negli Stati cosiddetti «Sec», da Southeastern Conference, una delle conference della prima divisione del football americano dell’associazione che riunisce 1200 università americane, con sede a Birmingham, in Alabama, propone una strategia chiara: in quest’area degli Stati Uniti si coltivano cotone, noccioline e riso, e da qui sono venuti i tanti voti che hanno consentito l’elezione di Trump. Non a caso, il nuovo Segretario di Stato per l’agricoltura Sonny Perdue viene da uno di questi stati, la Georgia.

Il commentatore Milo Hamilton, economista e fondatore del sito www.firstgrain.com, spiega: «Siamo convinti che l’industria del riso sia una grande opportunità per noi tutti. Al momento può non sembrare questa la situazione, visto che molti si ritirano dalla coltivazione del riso o perfino smettono di lavorare in agricoltura». Hamilton ricorda che la questione più importante non riguarda soltanto la coltura del riso, ma soprattutto la disponibilità di acqua: «L’acqua è la commodity di questo secolo, e come il greggio negli anni ’60, è ancora grandemente sottovalutata». Hamilton parla anche di un futuro mercato del riso in ottima salute, diverso da quello attuale, in cui si dovrà tenere conto della effettiva disponibilità e del costo dell’acqua. «Ora i governi Asiatici continuano  a combattere contro questa prospettiva di mercato attraverso miliardi di dollari di sussidi agricoli, offerti quasi gratuitamente. Questi sussidi potrebbero essere messi sotto stretta osservazione dalla nuova amministrazione Trump, che vede come il fumo negli occhi tutte quelle persone che hanno svenduto la nostra agricoltura nei negoziati commerciali negli anni scorsi. Il presidente Trump sa chi l’ha votato e chi no – aggiunge Hamilton – gli stati Sec hanno votato per lui e tra essi gli agricoltori che prima coltivavano riso in Carolina del nord e del sud». Propone poi una riflessione sulla gestione del settore irriguo, anche in una prospettiva di mercato a lungo e medio termine: «L’acqua negli Stati Uniti è controllata a livello locale 10 mila distretti, e non esiste ancora un mercato di compensazione a Chicago in questo comparto».

Ribadendo che non è ancora venuto il momento per gli Stati Uniti di esportare grandi quantitativi di riso in Cina, sottolinea: «Il prezzo dell’acqua determinerà il valore relativo del riso nei prossimi anni, perché per far crescere il riso ne serve il doppio rispetto al grano. Anche il costo della manodopera è molto più alto. In vaste zone dell’Asia, il riso è curato a mano come in un giardino, piuttosto che coltivato con metodi intensivi, in piccolissimi appezzamenti di terreno. Non soltanto sta diminuendo la disponibilità di terreni, ma anche l’acqua comincia a scarseggiare in molte aree densamente popolate. Se il terreno coltivabile è privo di acqua, a cosa serve? Si cerca sempre più spesso l’acqua sottoterra come un minerale attraverso infinite tubazioni, specialmente in India». La Cina, ribadisce Hamilton, si sta preparando a questa prospettiva, spendendo decine di miliardi di dollari non soltanto per  sovvenzionare i risicoltori, ma anche per creare delle strutture logistiche che consentano di collegare l’Asia meridionale con le zone in cui c’è disponibilità d’acqua. Per questo, aggiunge, sta costruendo un mega acquedotto lungo l’asse nord-sud da 85 miliardi di dollari, e un’autostrada da oltre 100 miliardi di dollari tra Chengdu e Lhasa, in Tibet. E prevede: «Negli anni, ho anticipato che la Cina avrebbe importato sempre più riso, e questo è accaduto. Per anni ho anche ripetuto che il prezzo del riso è troppo basso rispetto a quello del grano, e questo avvilisce i risicoltori. Ma questo si ripeterà ancora quest’anno o il prossimo, ma dovrebbe renderci ottimisti nel lungo periodo. La grande incognita è se riusciremo a sopravvivere alla grande crisi di quest’anno. A marzo, probabilmente vedremo sparire molta della superficie risicola americana».  Ancora: «Gli accordi commerciali del Wto hanno evidenziato il potenziale di domanda per le importazioni di cereali in Asia, dove però i governi hanno speso molti miliardi di dollari per spingere la produzione e porre delle barriere alle importazioni. Ora il debito agricolo sta crescendo in India e in Cina, e questa tendenza potrebbe continuare ancora mentre l’industria americana del riso diventa insolvente e la superficie diminuisce». A questo punto, suggerisce, occorre resistere e appellarsi alle prospettive di lungo e medio termine, ma affrontare questo momento così duro non sarà facile.

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