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BLOCCATA LA PAC AI PICCOLI AGRICOLTORI?

da | 16 Nov 2017 | Norme e tributi

Mentre l’Italia del pallone si dispera e si arrovella nelle polemiche successive alla “apocalittica” eliminazione della sventurata nazionale di calcio dai mondiali del 2018, sull’ Italia agricola si addensa piuttosto silenziosamente una nube che potrebbe avere conseguenze se non proprio apocalittiche perlomeno molto negative. Il prossimo 19 novembre dovrebbe infatti entrare in vigore la nuova Legge n.161 del 17 ottobre 2017 che reca “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159″.

La nuova normativa, modificando quanto disposto dall’art.91 del precedente D.L.vo 159/2011, prevede (art. 28, comma 1) che «L’informazione antimafia è sempre richiesta nelle ipotesi di concessione di terreni agricoli demaniali che ricadono nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonchè su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei». In  sostanza la nuova norma impone a tutti i possessori di terreni agricoli che percepiscono fondi europei di dotarsi della cosiddetta certificazione antimafia, che nella precedente normativa era richiesta solo quando l’importo dei contributi europei superava i 150.000 euro. Il potenziale impatto della normativa così modificata appare evidentemente devastante: tutti coloro che percepiscono fondi di provenienza comunitaria in agricoltura dovranno dotarsi di certificazione antimafia pena la perdita del contributo. Se entro domenica prossima (quando appunto entrerà in vigore la nuova normativa) non interverrà un emendamento correttivo di questa impostazione piuttosto “giacobina”  tutti i pagamenti di contributi PAC e PSR legati a superfici agricole dovrebbero essere bloccati in assenza della certificazione antimafia del percettore. 

La nuova normativa, così come è scritta, sembra portare con sè due conseguenze evidenti. Da un lato sarà impossibile che le Prefetture, organi deputati dalla legge ad emettere le certificazioni antimafia richieste, riescano ad evadere un numero impressionante di pratiche (almeno 3 milioni, oltretutto non propriamente gratuite per il richiedente) in breve tempo. Nel caos che ne deriverebbe è assai probabile che i fondi comunitari non possano essere assegnati in tempo utile e debbano essere restituiti all’Unione Europea. D’altro canto potrebbe verificarsi il paradosso per cui le aziende agricole di grandi e grandissime dimensioni, che già ricevevano contributi di importo superiore a 150.000 euro ed erano quindi già in possesso della certificazione antimafia, potranno essere pagate, mentre quelle medie o piccole, più bisognose di contributi ed incentivi, ma prive di certificazione, potrebbero restare a bocca asciutta. Perdendo fondi a cui hanno legittimamente diritto e per ottenere i quali hanno sostenuto costi burocratici, amministrativi ed organizzativi non indifferenti. 

In Parlamento sembra essere iniziata una corsa contro il tempo per cercare di correggere l’evidente stortura con un emendamento che rettifichi la normativa, ristabilendo un tetto di importo al di sotto del quale la certificazione antimafia non viene richiesta, anche se qualche osservatore non nasconde la sua preoccupazione per alcune tendenze “giustizialiste” che potrebbero ostacolare un percorso di normale buonsenso. Perchè accertare che i fondi pubblici finiscano alle persone perbene è doveroso oltre che legittimo (anche se, come la storia ed anche la cronaca recente insegnano, i risultati sono spesso inferiori alle attese). Ma cambiare le carte in tavola a ridosso dei pagamenti o con pagamenti in corso (l’erogazione degli “anticipi” PAC è iniziata tra fine ottobre e novembre, con il conseguente paradosso che chi ha avuto la fortuna di finire nei primi elenchi di liquidazione ha già ricevuto quanto gli spetta, mentre chi deve ancora essere pagato rischia grosso) non è corretto nè civile. Autore: Marco Sassi

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